martedì 5 dicembre 2006

Un’inevitabile esperienza traumatica, tuttavia formativa, durante un San Patrizio, che altrimenti sarebbe passato inosservato.

Appena entrai nel suo ufficio, Anita Braxten, mi guardò dall’alto in basso e mi disse:”Abbiamo preso in visione il suo curriculum, e siamo stati piacevolmente colpiti dalle sue credenziali, la mia assistente ha già contattato lo Stage Coordinator del suo college riguardo i crediti accademici che lei riceverà se dovesse essere scelto per lo stage. Stiamo comunque considerando altri candidati, quindi le dovrò fare qualche domanda.” Io rimasi ritto ad ascoltare. Annuivo con la testa di tanto in tanto, tanto per dare l'idea di essere vivo durante questo monologo. Con acuta avvedutezza, comunque, mi assicurai che non una sola parola uscisse dalla mia bocca.
“Volevo sapere se poteva farmi lo spelling e darmi la definizione esatta della parola INEVITABLENESS?”
Trovai il tutto un po’ insolito, ma risposi lo stesso. “I-N-E-V-I-T-A-B-L-E-N-E-S-S : l’incapacità di evitare o evadere qualcosa il cui avvenimento è certo o pressochè sicuro di accadere nei momenti meno opportuni”
Senza nemmeno alzare lo sguardo dal mio curriculum, Mrs. Braxten, mi disse “Perfetto. Abbiamo tutte le sue informazioni, la mia assistente, July le mostrerà la via d’uscita.”
“Cazz@!” pensai. “Forse non avrei dovuto aggiungere quel pressoché sicuro di accadere nei momenti meno opportuni. Devo sempre strafare. Se non mi offrono lo stage sono praticamente fottuto!”
Ma fortunatamente lo stage mi fu offerto, lo stesso giorno. Appena arrivai a casa, July aveva già lasciato un messaggio sulla segreteria facendomi sapere quando mi sarei dovuto presentare in ufficio per cominciare.
“Il lavoro svolto nel nostro dipartimento è molto frenetico. Spero che tu sia stato avvisato riguardo gli orari e le ore di straordinario richieste. Purtroppo, ci saranno molte notti che ci vedranno chiusi qui dentro.” Disse la Braxten, quando mi vide per la seconda volta.
E, in effetti, le notti ci furono. E, esattamente come aveva previsto, ci videro chiusi li dentro, nel suo ufficio. Prima si faceva l’amore, poi mangiavamo del pollo con le mandorle ordinato dal cinese sulla 52esima. Pensai che il pollo fosse non una conseguenza alla congiunzione carnale ma solo una banale coincidenza. Qualche volta, la mattina trovavo sulla mia scrivania, dei piccoli regali incartati sempre con molta attenzione. La maggior parte di volte erano cose di poco conto. Ogni sabato mattina, invece, mi faceva recapitare a casa dei cesti dai vari negozietti di pietanze gastronomiche, considerati ora di moda , che a poco a poco stavano invadendo Manhattan. Ma dei regali non ne parlammo mai.

Il Sabato che marcava la festa di San Patrizio non ricevetti niente. Quella mattina mi svegliai con il peggior attacco d’allergia che avevo avuto in anni. Le farmacie erano chiuse e tutti i miei amici erano andati a vedere la parata. Per disperazione, avevo preso degli antistaminici, che avevo trovato nel fondo di una valigia, i quali, mi accorsi dopo, erano scaduti da almeno due anni. Cominciai, quindi ad avere una reazione che mi causava la vista di aloni verdi rossi e blu. Pregai che queste pillole decadute non avessero MAI alcun effetto deleterio sulla prostata, su cui avevo visto uno special, giorni prima, e ancora non mi ero ripreso dallo shock. Poi cominciai a provare una strana sensazione, che attribuii alla pressione, ora non so se fosse troppo alta o troppo bassa, so solo che mi dovetti sdraiare sul letto con la carta igienica appallottolata dentro le narici, mentre boccheggiavo come un SUB. Sentii bussare con veemenza alla porta. “Ecco l’immancabile cesto sabatino” pensai. Cercai di vestirmi, ma rinunciai celermente all’impresa, tanto avrei aperto con la catenina e avrei detto al portiere di lasciarlo sul pianerottolo. Ma appena aprii l’uscio ricevetti una spinta inaspettata dall’altra parte. Era Anita che gridava “apri, mio Dio, apri!” mentre continuava a spingere. Non riuscivo nemmeno a parlare così gesticolai come per dire “Aspetta, richiudo e apro”. Non feci nemmeno in tempo a togliere la catena che Anita era già entrata, con una valigia che straripava di vestiti e non so che altro. La guardai perplesso, con uno sguardo che attendeva una spiegazione.
“Quel porco schifoso di mio marito! Ho scoperto oggi, che si fa la segretaria.”
La superai mentre stava per entrare in cucina e mi affrettai a stabilire qualche forma di ordine in quella stanza. Riuscii appena a togliere i calzini dal lavandino e a buttarli per terra, quando Anita scoppiò in un pianto isterico. Cercai di abbracciarla, ma trovai la situazione alquanto imbarazzante. Così evitai e mi andai a chiudere nella mia stanza.
Chiamò il marito svariate volte. Una volta lo accusò di impotenza. Un’altra di essere un pervertito. Un’altra volta lo minacciò di divorzio. Poi lo richiamò dicendogli che si sarebbe tolta la vita. Mi affacciai turbato da quest’ultima dichiarazione, ma la trovai seduta mentre cercava di sistemarsi un’unghia che le si era spezzata. Il marito non richiamò. Anita ebbe un'altra crisi di pianto isterico.
Le chiesi se aveva fame. Non avendo niente a casa, le proposi di ordinare del pollo dal cinese. Ma ricevetti una risposta alquanto inaspettata.
“Come puoi pensare al sesso in un momento come questo.” Invaso da una sensazione di confusione mista a disgusto arguii che il pollo non era solo una banale coincidenza, ma decisi di non indagare oltre.
Le minacciose chiamate continuarono. In preda ai tremori, Anita decise di ricorrere all’aiuto divino e al valium. Poi quando finalmente quest’ultimo cominciò a fare effetto, si sdraiò sul mio letto, e mi disse: “Che ci vuoi fare? Anch’io sono una donna!” appoggiò la testa sul cuscino, canticchiò per un po’ la canzone di Top Gun e si addormentò.
Il marito la venne a prendere la stessa sera. Penso che avesse intuito il perché lei avesse scelto il mio appartamento come rifugio, ma non mi chiese niente. Lei, con gli occhi ancora gonfi, mi salutò sorridendo e mi ringraziò. Lui la avvolse con un visone e reggendola scesero per le scale. Sembravano quasi felici.

Appena chiusi la porta, notai con piacere che potevo un’altra volta respirare, l’evento mi aveva fatto dimenticare totalmente la moltitudine di malesseri che mi avevano colpito quella mattina. Decisi così di scendere per strada, con la speranza di godermi gli ultimi momenti delle festività Patriziane al pub del Roscio. La totale desolazione mi attendeva. Vidi una coppia di ubriachi inciampare e cadere su una montagna di immondizia, avevano l'aspetto di chi si fosse davvero divertito. Ma anche io, paradossalmente, ridevo e emettevo un espressione compiaciuta. Il mio giorno di San Patrizio non era assolutamente passato inosservato, e per motivi ancora non ben chiari, in quel momento mi sentivo più adulto.
“Il solito scotch on the rocks?” disse il Roscio.
“Si ma doppio! Oggi voglio festeggiare”
“Festeggiare che cosa? San Patrizio ormai è finito” disse il Roscio ridendo.
“E’ difficile da spiegare…non so perché… ma è come se sapessi che il ricordo di oggi, mi servirà da lezione, in futuro… ”

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Qualche tempo fa durante una serata estiva si chiacchierava di cucina esotica e una specie di befana fuori stagione mi propose di andare a mangiare cinese... dopo quello che ho appena letto sono felice di non aver accettato ;-)
Grande Neo, bellissimo racconto!

neo_scapigliato ha detto...

Diego,
questo tipo di esperienze non possono essere vissute vicariamente attraverso l'osservazione della disgrazia altrui...tocca anche a te mangiare cinese con qualche tardona esaurita! :)

Né arte né parte ha detto...

me lo segno sul cellulare (che mi fa le veci dell'agenda): l'invito a mangiare cinese è una trappola. non accettare.

mmmh.........
.......mmh...
......mmmmmmh

ora che ci penso faccio una piccola rettifica: accetta solo se vieni invitato da una ventenne e spera in quel caso che sia effettivamente una trappola. ok, ora mi sembra possa andare.

grande, come al solito..