giovedì 30 novembre 2006

Il Mistero delle magliette scomparse: Ordini dai leaders UFO, rito d’iniziazione per sette estrogeniche o semplicemente tiro birbone?

Prima o poi, durante un anonimo pomeriggio dedicato al mestiere di lavandaia, ti ritroverai a guardare la cesta colma di mutande, calzini e camicie e ti chiederai che fine hanno fatto tutte le tue magliettine (le T-shirts, per capirci … ma sono sicuro che voi lo sapevate già).
“Eppure avevo i cassetti pieni … quelle della fraternità, quelle dei master di nuoto, quelle dei tornei di calcetto, quelle con le marche di birra, quelle dei Clash, etc. etc.… ma dove saranno andate a finire tutte ‘ste magliette?” Nascoste in un angolo del cassetto scorgi solo quelle degli SCOUT, ingiallite e appallottolate, il cui destino lo conosciamo bene, è meramente quello di tamponare un'eventuale perdita dal rubinetto.

Ti spremi le meningi per un pomeriggio intero… e poi, all’improvviso, un flash…poi ‘n’altro e ‘n’altro ancora. Cadi preda ad una raffica di epifanie, come se fossi appena uscito da una seduta durata un mese col tuo analista. Un vero slide-show di ricordi, ologrammi di facce , di cui a stento ti ricordi i nomi. Rivedi Emma che indossa la tua maglietta del torneo di Lacrosse mentre lava i piatti. Poi ripensi a Sarah quando, con movimenti “gimcaneschi”, si levava il reggiseno sotto la tua maglietta della NYU, e con sguardo allusivo ti diceva “mi piace perché è enorme”, e tu, rincoglionito come mai, ti ringalluzzivi tutto. Per non parlare di Roberta, la quale ha dormito a casa tua solo una notte ma che con notabile nonchalance si infilò dentro una maglietta del Prayer Tour '89 dei Cure, per poi portarsela la mattina dopo. E così via… innumerevoli volti. (NUNT’ALLAGGA’, il cantastorie dirà… nun c’avevi tutte ‘ste magliettine, te!)
Ti cominci a chiedere…. Ma è un vizio? Una peculiare forma di cleptomania? Un oscuro feticcio? Una delle tante cose femminili di cui non capisco la dinamica?
La risposta è BOH!
Forse le usano per fare vodoo. O forse le usano come trofei. O forse è una delle tante regole scritte in quel manuale segreto che viene passato da madre a figlia su come fare rincoglionire i maschi… fatto sta che tu adesso sei rimasto senza magliettine.

Anche se qualcuno non ci trova niente di drammatico, rimane sempre il fatto che ‘ste donne sono le stesse donne che riescono a comprare le più impensabili cazzate create in questo mondo … vestiti che non indosseranno mai, trucchi che servono a coprire cose che solo loro e alcune razze di cani riescono a vedere, scarpe che non possono mai mettere perché non vanno con nessuno dei 6,357.787 vestiti che hanno. Eppure quando si tratta di comprare indispensabili, comode, sincere t-shirts di cotone 100% vengono subito impossessate da una paralizzante imperizia nel fare spesa…“tanto una di queste la posso sempre fregare al prossimo che mi faccio”

Lo penseranno davvero? boh!

Mi rendo conto, comunque, che il problema di fondo rimane mio e solo mio. Primo perché, al momento, sono rimasto senza magliette. Secondo perché ormai, troppo adulto e troppo istruito dovrei riconoscere il momento quando le donne agiscono col solo scopo di turlupinare. Sono i momenti finali della storia, quando senza dirti niente le FENNIME (come dice mio nipote) si fanno l’inventario dei loro effetti personali e anche di quelli, non propriamente loro, ma che, non si sa mai, potrebbero far comodo in un futuro non remoto.
Sto parlando (molti di voi lo sanno benissimo) di quei momenti quando si avvicinano con un modo di fare inquietantemente tranquillo, chiedendoti informazioni su cose di cui tu ti eri dimenticato pure l’esistenza, come se si stessero preparando la valigia per un viaggio di tre anni in Kyrgyzstan; es.: “Ce l’hai tu il mio CD dei Cranberries?”
“Penso di si, sotterrato in qualche angolo della macchina, perché? Non lo ascolti da anni”
“Ho sentito una canzone oggi alla radio e mi andava di riascoltarlo”
“Alla radio? Scusa ma dove l’ascolti la radio, te?”
“Non fare il cretino e vammelo a prendere!”
Oppure: “Questi Levi’s non li usi mai, vero?”
“Non proprio, perché?”
“Niente, Gina dell’ufficio, oggi ne aveva un paio uguali e le stavano un amore”
“Scusa, ma tu e Gina non passate ore a telefono prima di uscire per assicurarvi che non vi siete vestite uguali?”
-Silenzio imbarazzante-

Comunque…per farla breve (tanto più o meno tutti avete una vaga idea di come va a finire), oggi volevo fare un appello. Se qualcuno di voi, in questo momento avesse una relazione con una ragazza che indossa una maglietta della fraternità dei ΛΧ della NYU, anno accademico 96-97. La rivoglio indietro… la maglietta cioè…la ragazza ve la potete tenere!

martedì 28 novembre 2006

Il processo evolutivo a livello psicofisico, morale, intellettuale del sottoscritto dopo essere caduto nelle mani del Pocciola

Sovente, capita che durante i discorsi nostalgici sulla formazione scolastica bianca rossa e verde, mi si lasci fuori con la convinzione che io le scuole le abbia fatte all’ESTERO.
“SI, minchione in Liechtenstein! Perchè quell’anno all’Edmondo De Amicis te lo facesti tu! Vero?”
Alla sola menzione dell’EDA, scende un gelido silenzio. Si, perché la Scuola Media Statale Edmondo De Amicis …non rappresentava con esattezza la quintessenza dei sentimenti che noi tutti riconosciamo come De Amicis-iani. La sezione M, in particolare, non era … tratta dal libro Cuore.

L’anno si aprì in bellezza. Luigi sgattaiolò verso i cartelloni appesi al muro, mentre le mamme si affrettavano a trovarci i posti nelle sovraffollate classi (che fossero lontani dalle finestre a causa della processionaria), poi corse verso di me e con sguardo terrorizzato mi disse: “ No! Abbiamo tutti e due i fratelli Barletta in classe con noi”
“tutti e due?” risposi sbalordito
“si”
Era un'ingiustizia. L’amministrazione avrebbe dovuto impedire che cose del genere accadessero a bambini come noi, che il pomeriggio guardavano gli snorkys. Cioè uno va bene, lo smilzo preferibilmente, dopotutto ha anche lui il diritto all’istruzione, ma tutti e due insieme è semplicemente crudele. Che li facessero roteare fra tutte le sezioni, un pò a turno, dopotutto pure gli altri avevano il dovere di provare l'ebbrezza dell'essere malmenati, perché solo noi.
Devo ammettere ci preoccupammo un po’ per niente, perché fortunatamente per noi, il padre dei Barletta aveva promesso ai figli che al compimento del sedicesimo anno sarebbero stati uomini liberi. Infatti, il compleanno del Barletta grande fu contraddistinto da un sospiro di sollievo collettivo. L’altro fratello, invece, fu colpito da leptospirosi o qualcos’altro e pure lui non tornò mai più. Anche se devo ammettere che di quest’ultimo sentì un po’ la mancanza dato che eravamo diventati quasi amici (sempre considerando i limiti delle circostanze) da quando Luigi si era prestato a disegnargli un puffo sul bicipite a mò di tatuaggio. Quel giorno ci aveva pure invitato giù alla discarica per sparare piombini sui ratti. Ma io e Luigi cordialmente declinammo l’invito.
Dopo l’abbandono dei Barletta, avevo anche appreso che noi della 1° M non stavamo mica messi così male. Claudio, un mio vicino di casa, era disperato perchè aveva in classe uno degli Sgroi, che si faceva le "zaganelle" in classe rilasciando “dediche” fra le pagine dei libri dei compagni (e se la memoria non m'inganna, fu lo stesso che si tagliò il “filino” in bagno operando con delle forbicine … se non sapete di cosa sto parlando, ringraziate Dio e andate avanti)
Ormai rilassati, tutti noi della classe 1° M potemmo interagire con tranquillità. Io e Luigi eravamo seduti nei banchi di dietro a Renzo (non mi ricordo il cognome) e Giovanni Di Giovanni (i miei complimenti ai genitori, per la loro sfavillante fantasia. Considerate, che nella stessa classe avevamo pure un Baldovino Baldovinetti…ma questa è pura crudeltà, che nemmeno i Barletta lo prendevano in giro tanto faceva pena). Renzo indossava sempre una camicia di polyester bianco con una fantasia di francobolli marroni dove dentro c’erano raffigurate le macchine antiche. Giovanni Di Giovanni, il suo compagno di banco, era invece famoso per le sue interrogazioni e le sue risposte alquanto didascaliche. Era l’unico che non aveva capito che in geografia, l’industria agro-alimentare e l’industria tessile si possono invocare per qualsiasi regione italiana, per non dire mondiale. Quindi alla domanda “parlami di Palermo” lui accusò: “A Palermo c’è la mafia!” Poi, durante lo stesso anno, alla domanda parlami dei problemi di Berlino, Giovanni Di Giovanni denunciò nuovamente la criminalità organizzata rispondendo:”A Berlino c’è un muro dove i ragazzi ci vanno a farsi la droga!”
Ma i giorni lieti non durarono a lungo. Volle il fato che io e Luigi, a causa di un autogol (tengo a precisare suo) durante la partita contro la 1° F, entrammo in un bisticcio del tipo “Croce di legno, Croce di ferro”; quelli di voi che lo conoscono sanno benissimo che è più facile trovarsi un altro amico che riuscire a rompere questo tipo di bisticcio. Proprio durante questa dissociazione, si unì alla classe un animale di ragazzo che era peggio di tutti e due i fratelli Barletta messi insieme. Un ragazzo di un'altra classe, che ne aveva sentito parlare, ci aveva avvertito: "quello è un tipo che se lo sfiori per sbaglio, TOCCA AMMAZZASSE!" Se avevamo alcun tipo di dubbio, questa premessa ci rassicurò, inducendoci ad accettare passivamente la malasorte.
Ora, non so quale spirito immondo abbia posseduto la Sambagnaro, professoressa di Matematica, a farle pensare che era cosa buona mettere uno che si allena sul ring a fare a pugni, proprio accanto ad un ragazzino, mezzo straniero, che con tutte le scarpe ortopediche pesava 13 kg. Così, all’arrivo della bestia, la Sambagnaro pronunciò la temuta frase: “Siediti li, accanto a von Hauser”
“Merda!”
Alessandro Pocciola, questo era il suo nome, aveva già la patente. Il padre gli aveva detto però che se non avesse ottenuto l’attestato non gli avrebbe comprato la macchina. Io gli avrei dato volentieri la macchina di mia madre per farlo andare, anche perché dopo il suo arrivo nessuno mi parlava più, sicuramente a causa di alcuni “simpatici” deterrenti, come per esempio le sberle ricevute da Renzo o Giovanni Di Giovanni appena si giravano a chiedermi qualcosa, o la mitica sputata sulle scarpe. Alessandro aveva la dote dello sputo con il mirino, una cosa allucinante; secco e diretto. Una volta Giovanni si dovette fare un’interrogazione muovendo in continuazione i piedi per evitare la mitragliata di sputi.
Devo ammettere che dopo un po’ cominciai ad apprezzare la decisione presa dalla Sambagnaro. Sotto quella facciata rude, Pocciola era, dopotutto, un bravo ragazzo. mi accorsi di essere invidiato un pò da tutti perchè mi aveva preso sotto la sua ala protettrice, anche se questo mi preoccupava un po’ perché non sapevo quando e come avrei dovuto ricambiare il favore. Sono sicuro che se sapesse che oggi faccio l’avvocato mi verrebbe a cercare per qualche problemino con la legge.
Ogni giorno appena arrivavo mi accoglieva con un “A’von HAUSER! C’ho mezza busta di fumo na machina … Vieni oggi pomeriggio alla centrale del latte abbandonata, che ci facciamo una canna! I flash che ti fa vedere 'sto fumo sono PAZZESCHI!” e poi l’immancabile medley dei fumaroli “Vado al massimo! Oh tofee tofee tofee!” con in mezzo "ne, neah, neoooow" il colpo di chitarra tratto da Dark Side of the moon . Altro invito che venne cordialmente rifiutato.
Inoltre Pocciola era completamente mesmerizzato dal mio cognome. Mi chiedeva sempre, ma perché la v è scritta minuscola, e perchè si pronuncia con la F, e che cosa significa il tuo cognome in INGLESE?
Un giorno, mosso dal suo interesse gli spiegai che in passato il mio cognome era scritto con la umlaut .
Mi guardò smarrito e mi chiese:”con che cosa?”
Arguii di aver fatto un grande minchiata ma ormai dovevo continuare:”con due puntini sopra la a”
Pocciola mi guardò e rispose:
“STI CAZ%I!”

lunedì 27 novembre 2006

La spietata dinamica del Twist

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Flavia entrò in bagno all’improvviso mentre io, appena uscito dalla doccia, ero d’avanti allo specchio a cantare “Se bruciasse la città” di Massimo Ranieri, a squarciagola e con tanto di batteria simulata con l’aiuto di un’Oral B Flexi-Soft EB 17 ed un Mentadent Stage 1, che costa meno.
“Ma che cazz@ stai facendo?” gridò Flavia
“Flavia, cazz@! M’hai fatto prendere un colpo!”
Flavia rideva. Poi in modo alquanto ammiccante mi disse: “Ma dimmi, canti sempre così bene, o è la nudità che ti fa raggiungere questi livelli di virtuosismo?”
Mi girai e le spiegai. “ Stavo facendo finta di cantare per Ilaria D’Amico”
Flavia sgranò gli occhi stupefatta e dalla bocca spalancata le uscì solo un "uh?"
"Si, tranne la parte che fa quel prato di periferia ti ha visto tante volte mia... quella la salto perchè...sai...non sarebbe realistico"
Sbalordita da quella risposta, Flavia chiese: “E questa spiegazione dovrebbe riscattarti, esattamente … come?" poi continuò con tono ironico "si in effetti a parte il prato di periferia poi tutto il resto, invece, è una vera cornucopia di realtà"
“Uhm … non so perché ho pensato che spiegandoti la verità avresti capito…ripensandoci adesso non c’è assolutamente un motivo valido.”
“tu non sei normale…vabè, comunque, lasciamo perdere le tue doti canore e la D’Amico per un secondo, volevo parlarti di noi.”
“Scusa?”
“Si, di noi, di quello che è successo ieri.”
“Il “noi” a cui tu ti stai riferendo, è paradossalmente meno concreto della potenziale presenza di Ilaria D’Amico dentro a questo cesso mentre io canto…quindi…adesso, scusami ma ho freddo!”
Chiusi la porta e dopo essermi vestito, presi il MIO Oral B Flexi-Soft EB 17 e me ne andai.

giovedì 23 novembre 2006

La scoperta del rimpianto

Lo aveva incontrato per caso. Doveva essere una passeggiata come tante altre, ma Sarah capì subito che sarebbe stata l’ultima occasione. Fra poco si sarebbero laureati; Lei in Filosofia, lui in Ingegneria.
Così, fissando le onde, animate da quel fine agosto, Sara trovò il coraggio di dire a Eddy:
“Perché non ci tuffiamo? l’acqua non è ancora fredda e noi non conosciamo ancora tutti i nostri difetti.”
Lui la guardò, e decise di non rispondere. Avrebbe voluto prolungare quel momento all’infinito, ora che lui era oggetto di desiderio. Ora che lui poteva dire di no.
Lei aspettò un po’, disegnò qualcosa con i piedi sulla sabbia, poi si voltò e se ne andò.
Fu così che Eddy scoprì che alcuni amori cominciano quando ormai tutto è finito.

mercoledì 22 novembre 2006

Periodo ipotetico della possibilità di empatia tra un gruppo di viaggiatori solipsisti

Sono in viaggio. Ancora. Lo so! Ormai mi sento a casa solo quando mi ritrovo dentro la cabina depressurizzata di un aereo di linea. Gli altri passeggeri mi danno ai nervi. Beh, sarebbe inutile spiegare il perchè...provate ad immaginare il vostro salotto invaso da 300+ persone con rispettive valigie, alcuni dei quali devono assolutamente sedersi accanto alla vetrinetta...Rendo l'idea?
ORRORE! sono seduto accanto la vecchia coppia belligerante. Li vedo da lontano, sono proprio loro, seduti nella mia stessa fila, proprio accanto a me. Da uno sguardo di sbieco rilevo le seguenti informazioni.
Lui: pullover polveroso, odore di naftallina, forfora, alito
Lei: rossetto fucsia, odore di campo di lillà con cadavere di vacca putrido nel mezzo, legge CHI, alito.
L'aereo si prepara al decollo mentre sto leggendo un passaggio particolarmente pesante di Anna Karenina (mi ero promesso di non leggerlo mai, ma mi hanno detto che questo Tolstoj scrive benino). L'hostess ci mostra le uscite di sicurezza, poi ci fa vedere delle maschere che dovrebbero apparire al momento dello schianto e che dovrebbero fornire ossigeno ai quasi morti passeggeri. Su queste maschere nutro non pochi dubbi. Ma l'ossigeno esce veramente da queste cose? O servono solo come sordina per le urla disperate di chi si sta andando a schiantare da 20,000 metri? Poi l'hostess delicatamente mi dice di rialzare lo schienale durante il decollo. "Scusi?" "Lo schienale" dice lei. Non me ne ero neanche accorto. Preme un pulsante alla mia destra e lo schienale si alza di 2 nanomillimetri.
Ora, non vorrei polemicizzare, ma nella mia vita ho creduto a molte cazzate, questa per qualche motivo non la reggo....Cioè, la mia sorte è in mano a quei 2 nanomillimetri? Quante persone sono morte perchè non avevano rialzato lo schienale? QUANTE? E' successo? non me l'hanno detto?
Eventi non degni di nota si susseguono. Lui deve andare in bagno, lei vuole la giacca, c'è freddo, c'è caldo. Poi Atterriamo e ritiriamo i bagagli.
Meno male che prima di partire avevo chiamato il mio amico Piero che doveva venire a prendermi. Il suo cellulare non prende. 3 ore dopo comincio a dubitare che Piero verrà. Mi avvicino alla piattaforma dove posteggiano i taxi. C'è già gente. Senza nemmeno accorgermene sono entrato a far parte di un gruppo. Alla mia destra c'è una donna, che continua a chiamare qualcuno che non risponde. E' nascosta dietro giganteschi occhiali da sole. Con gesti brevi e nervosi continua a digitare numeri e a riattaccare. Si lamenta sottovoce. Di fronte ho un vigile che sta urlando al cellulare, a quanto sembra, la sua ex-moglie che non gli fa vedere i bambini. Le chiude il telefono in faccia. Scorgo una lacrima. Richiama e impianta una negoziazione. Alla mia sinistra, invece, c'è un asiatico (cinese, giapponese, koreano...non lo so) totalmente spaesato, si guarda in giro. Alza delicatamente una mano, ma neanche il taxi si ferma. Sembra rassegnato a vivere la sua vita su questa piattaforma.
All'improvviso sento una vampata di empatia nei loro confronti, e vorrei che loro sentissero lo stesso per me. Si! ci siamo ritrovati finalmente! Mi sento molto vicino a loro, ma non come quando ti senti vicino a qualcuno perchè ascolta i Baustelle o perchè adora Samuel Beckett. Mi sento vicino a loro ad un livello ancora più intimo, perchè ovviamente noi tutti abbiamo provato sulla nostra pelle la viltà della vita. Vorrei abbracciarli e gridare anch'io: "io sono disoccupato, ho un colloquio domani che finirà a farsa come al solito, e l'altra settimana ho fatto cose sporche con una donna di dubbia reputazione e ora brucia quando cerco di orinare."
Ma proprio quando il livello di empatia raggiunge vette mai toccate prima d'ora, la donna scorge la macchina del marito, il vigile si riappacifica con la moglie, e l'asiatico viene raggiunto da due suore (anch'esse genericamente asiatiche)a bordo di un pulmino.
Non ci siamo nemmeno abbracciati. Eppure ci avevo creduto così tanto nelle nostre potenzialità.
Così...ancora una volta sono rimasto solo...
Ma allora, mi chiedo: "ma la vita... è beffarda solo con me?"
Gradirei risposte, suggerimenti, aneddoti...anche su quella storia del bruciore.
A titolo informativo: Piero non arrivò.

martedì 21 novembre 2006

L'inusuale correlazione tra la solitudine trascendentale, il crepuscolo, e la sfiga che ci perseguita.

Il crepuscolo, come promessa o come delusione? Qualsiasi modo sceglierà, non potrai chiederti mai: perché proprio me? Perchè il crepuscolo odia la mancanza di fiducia nei suoi confronti, ti chiede solo di aspettare, e dentro di te sai che la sua venuta non è solo leziosaggine. Così ti afferrerà con le mani del rapitore e quando ti avrà riposto dentro l’intercapedine che ha creato a tua misura, ti accarezzerà con il tocco della madre e sottovoce, in uno orecchio, ti prometterà esattamente quello in cui tu speri. Allora, le tue mani tremeranno, e salterai di gioia. Dimenticherai tutto l’andato e le paure scompariranno. E sarà come neve. Come neve e fama, come amici e nesquik. Ma la maggior parte di volte, notando la tua reazione, il crepuscolo sorriderà maliziosamente, e tu verrai a conoscenza della crudele premessa. Così il crepuscolo con unghie lunghe carpirà tutte le tue cose preferite e strizzerà il pugno lentamente fino a farle polverizzare. E non avrai niente più. E non saprai che cosa dire, perché gli hai dato i tuoi anni ed ora è la sola salvezza che conosci. Così con parole dolci ti convincerà che ha creato attorno a te la solitudine ma che in compenso non ti lascerà mai solo. E nella tua mente tu ripeterai :”Non rimarrò mai solo” fino a crederci. Ma alla fine quando avrai avuto un piccolo assaggio della neve e della fama, degli amici e del nesquik, capirai perché ha scelto proprio te.

domenica 19 novembre 2006

Gli Introvabili - Parte II

MODERATO

Guillaume si mise a sedere. Prese il piccolo cono di pece e lo strofinò con impeto contro il crine dell’archetto. Guardò l’orologio. Aveva ancora un paio di ore per provare. Cominciò con il Moderato. Era il movimento più sensibile di tutto il concerto, non presentava alcuna contaminazione di sorte, né artistica né sentimentale. Era totalmente priva di ornamenti e di inutili sovrastrutture musicali; La sua forma lineare, logica, caratterizzata da una leggera inclinazione al romanticismo, era come se anelasse tutti i sentimenti umani, senza patetici virtuosismi palesemente nascosti, e allo stesso tempo, senza mai diventare miseranda.
Fu durante il pizzicato che Guillaume si ricordò del sogno avuto la notte precedente. Il sogno che l’aveva fatto piangere. Songnò di correre sconvolto e disorientato in una fitta foresta. Ansimante e spinto da un’ angoscia infausta, si precipitava in un labirinto fatto di tronchi imbiancati dalla neve. Fino a quando arrivò in uno spiazzale, tutto coperto di neve. La totale assenza di colori fu all’istante pace e sollievo per i suoi sensi. Si buttò di peso sulle ginocchia, ed afferrò della neve con tutte e due le mani. Fissandola si accorse che ogni piccola particella di questa materia bianca emanava piccolissimi spettri prismatici. Contemporaneamente, si accorse di poter udire una musica da lontano; Adesso, Guillaume non ricordava di che pezzo si trattasse, ma si trattava di qualcosa dolce, una nenia, qualcosa come la Danza Slava in MI minore di Dvoràk. All’improvviso il suo torso venne spinto sulla neve e colpito ripetutamente, da qualcosa di estremamente soffice, come se centinaia di ali, facessero sali e scendi sul tutto il suo corpo. Guillaume non potè fare a meno di abbandonarsi ad esse. Il suo cuore fece un sobbalzo e sentì un flusso violento di sangue scendere nel basso ventre. In quel momento, si ricordò del quadro raffigurante l’estasi di Santa Caterina ed una lacrima cominciò a scorrere sul suo viso. Con il fiato corto, sentì un sapore dolciastro sulla lingua, mentre le mani spontaneamente si chiudevano e i piedi si inarcavano. Le lacrime si fecero sempre più veloci, fino a che Guillaume si ritrovò singhiozzante.

“Chissà perché Claudette abbia subito attribuito il mio pianto ad un brutto sogno!” sorrise Guillame. “Così tipico di Claudette!” Le sue mani continuavano a suonare, anche se il pensiero e la sua attenzione erano rivolte a tutt’altro. Continuò il suo monologo interiore. “Chissà cos’è, che la fa agire così?” “La paura di affrontare un discorso…forse?” “No!” “Ma si!...sicuramente” “Anzi a pensarci, non si è mai fatto un discorso, tra noi….con lei” “Beh, si! Si parla…ma non si discute” “Ci intratteniamo con varie forme di ciance” “Ma semmai una parola si velasse di serio…o se disgraziatamente, una conversazione richiedesse una minima partecipazione attiva da parte sua…la sua risposta sarebbe ‘sono sicura che non è qualcosa di cui preoccuparsi’… proprio come oggi! E ti pianta li, forzandoti subdolamente a pensare che il problema è il tuo.” “Che sia paura di compromettersi? di accollarsi delle responsabilità? Di impegnarsi?”
Guillaume si ricordò di un episodio, successo poco tempo prima, quando le fece ascoltare un pezzo tratto dal Pierrot Lunaire di Schoenberg. Di fronte al viso inorridito di Claudette, Guillaume rise ed in modo retorico le chiese se le era piaciuto. Claudette si limitò solo a dire: “beh, è qualcosa di nuovo!”. Guillaume la guardo quasi in shock, poi le spiegò “non mi offenderesti mica, se mi dicessi che non ti piace.” “Non posso dirlo!” fu la sua risposta. “In che senso, non puoi dirlo?” domandò Guillaume. “E’ qualcosa di nuovo, quindi non saprei proprio come giudicarlo”. Guillaume trovò la risposta curiosa, ma non volle mettere Claudette in imbarazzo, così lasciò perdere.
Ma in quel momento si rese conto che quell’incidente, per quanto al tempo fosse potuto sembrare irrilevante, chiudeva in se l’essenza di quello che in effetti era Claudette. Una donna senza referenze. Inabile nell’utilizzo del libero arbitrio di prescegliere.
Di fronte a questa considerazione, Guillaume si domandò se per caso anche la loro storia fosse solo una rassegnata conseguenza dipesa dalla mancanza di valide alternative. Se si trovavano insieme a causa di una pigrizia che li aveva arginati e imboccati sazi di abitudine.
“No!” sbrottò Guillaume. “Io devo essere visto, devo essere sentito e soprattutto devo essere scelto.” Sapeva esattamente quel che diceva; Guillaume odiava, infatti, le orde di giornalisti che si raggruppavano nelle prime file per scrivere in fretta e furia ciò che non comprendevano. Odiava gli amici degli spettatori che rimpiazzavano altri spettatori assenti o malati. Odiava chiunque non fosse li per scelta. Il suo odio, però, non era guidato da un senso di arroganza. Lui voleva essere soltanto compreso, scoperto, trovato.
Guardò l’orologio. Le prove generali sarebbero iniziate in un’ora. Accomodò il violoncello dentro la custodia e andò a chiamare un taxi. Una signorina lo avvertì che il taxi sarebbe arrivato alle 6:15 ma che comunque il tassista lo avrebbe chiamato al telefono quando stava per arrivare.
Pilotato da un giustificabile livello di nervosismo, e preoccupato dall’inaffidabilità dei tassisti, Guillaume afferrò il tight ed il violoncello e scese assai prima dell’orario prestabilito.
In quel preciso istante, Claudette pensò di chiamare Guillaume, sperando di trovarlo ancora a casa, per cercare di tranquillizzarlo, dato che il suo umore l’aveva un po’ preoccupata quella mattina.
Guillaume aveva già chiuso la porta alle spalle, quando sentì il telefono squillare. Si rincuorò e si affrettò per le scale. Ma quando arrivò in strada non vide nessun taxi.

***

sabato 18 novembre 2006

Gli Introvabili - Parte I

ALLEGRETTO

Dopo aver versato una piccola dose di caffè nel latte, Claudette passò la tazza a Guillaume e si affrettò ad imburrare due fette di pane tostato.
Guillaume alzò la testa da dietro il giornale, per assicurarsi che tutto era pronto. Poi ripiegò il giornale e lo posò.
“Sai” disse Guillaume, “stanotte…”
Claudette continuava ad imburrare mentre Guillaume parlava.
“Stanotte…penso di aver pianto nel sonno…”
Con lo sguardo ormai fisso sulla fetta imburrata Claudette disse:”Si? Non mi sono accorta di nulla”
“No, no…sono proprio sicuro, ho pianto nel sonno! Stanotte.”
Claudette lo guardò, come se non sapesse che fare di fronte a questa informazione, così un silenzio imbarazzante seguì l’affermazione di Guillaume. Poi Claudette abbassò gli occhi e con la mano scotolò le briciole che si erano posate sulla camicetta bianca indamidata. Ancora con lo sguardo intento a cercare briciole, gli disse:”Dai non ti preoccupare! Sarà stato solo un brutto sogno, succede, no?” Poi si alzò ed andò a rigovernare la cucina.
Guillaume rimase seduto in silenzio. Riprese il giornale e continuò a leggere. Nessuna notizia era stata riportata sul concerto che avrebbe dato quella sera.
Poi le chiese: “Verrai a vedermi stasera?”
“A che ora è il concerto?”
“Alle 8:30”
“Si, ho chiesto un permesso. Comunque dopo il lavoro dovrò ritornare a casa mia a cambiarmi quindi perderò un po’ di tempo, ma penso di farcela per le 8:30.”
Apparentemente rasserenato da questa notizia, Guillaume si alzò dal tavolo, buttò il giornale nel cestino, si tolse il pigiama e disse:”Vado a farmi una doccia”
Aprì l’acqua calda ed entrò nella doccia. Cominciò ad insaponarsi violentemente. Poi si fermò all’improvviso come per godersi i brividi che l’acqua calda gli procurava lungo la schiena, modesto piacere che venne improvvisamente interrotto dall’arrivo, nella stanza, di Claudette, che tutto ad un tratto gli chiese:”Mi sono dimenticata di nuovo cos’è che suonerai stasera?”
Con tono orgoglioso, Guillaume rispose: “Shostakovic, Dmitrij Shostakovic. Il concerto per Violoncello ed Orchestra N° 1 in MI Bemolle”
“Ah, si certo! Sho-sta-kovic”
Claudette si lavò i denti, mise a posto i capelli, poi velocemente fece pipì e lo salutò.

***

venerdì 17 novembre 2006

Il Venerdi di un'epigrammista scriteriato

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Quello che mi fotte non sono le virtù borghesi,
bensì le virtù corrotte dalla mistificazione borghese,
di cui io sono un degno adepto.
Quindi, stasera, mi vestirò, uscirò, berrò fino a star male ...
e pigramente sconterò, con modesti languori, la malattia dell'ideale perduto,
di cui io stesso sono causa...
perchè non rinuncerò mai alle mie Tod's!

giovedì 16 novembre 2006

Quando i sogni attaccano i nani






I sogni (tanto per capirci; quelli che aiutano a vivere) sono solo verità intuitive. Ne consegue il fatto che i sogni che si avverano, non sono altro che desideri dettati dalla probabilità, cioè dal grado in cui si ritiene che un evento possa accadere. Già da piccoli, impariamo a selezionare tra più sogni in base a determinate percentuali di probabilità di accadimento (Es. La piccola Elena, non ha mai sognato di ritrovarsi in una casetta con sette lettini. Sogna però che Babbo Natale le porti la Bambola Betty).
Potrebbe esistere però un margine di errore. Perchè se no non si spiega come Bruno Rovecci, venne invitato a prendere tea e panini con le fettine di cocomero tagliate sottilissime (a parer suo BUONISSIMI) a Buckingham Palace.
Quindi stasera, prima di mandarli a dormire, spiega ai tuoi figli che il trucco sta nel sognare che la tua vita possa rientrare in quel margine di errore.

mercoledì 15 novembre 2006

Il grave turbamento del sottoscritto quando si accorse che per lei, era stato solo ... Jean-Louis Trintignant



Non cercava mica soldi, lei. Quelli li avrebbe potuti trovare facilmente. Cercava il riparo, diceva, all'ombra di un uomo sicuro."Sei sicura di quel che fai?" le dissi.Si strinse il labbro inferiore fra i denti, guardò in basso, alzò le spalle e poi disse: "mah, non so".Aveva l'aria annoiata. "Forse è paura?" disse lei stringendomi la mano. "Non ho mai amato così" fece una breve pausa, guardò il cielo e si mise a ridere :"Forse non ho mai amato""Forse nessuno ha mai amato" dissi io. "E' un concetto così vago e soggettivo"Lei mi guardò, come se avesse deciso qualcosa e ora sapeva dove andare. Mi prese la mano e si mi mise a sedere sulle mie gambe.Indubbiamente non era la meglio, ma non era nemmeno la peggio. Nessuna sorpresa. Esattamente quello che mi aspettavo. Il che, era confortevole, come se, per la prima volta nella mia vita, mi trovavo al posto giusto al momento giusto.Inafferrabile, indecifrabile, ininfluente; troppe in- per una ragazza che assomigliava a Eva Kant. Eppure stavo li; e mi ero anch'io appropriato di qualche in- di troppo: inoccupato, inconsistente, inclemente.Odiavo quel senso di nullità che questa persona esercitava su di me, su lei stessa e sulla nostra storia. Come se tutto fosse inutile, ma come se, proprio a causa di questa inutilità, tutto fosse diventato indispensabile per farci capire che nulla è importante.Così per gioco molte volte la lasciai. Per vedere la sua reazione. Per capire se in fondo, un senso di smarrimento potesse convivere nel nulla. Oggi non so se fosse smarrimento, ma di sicuro qualcosa respirava nel nulla. Poi un giorno mi afferrò le mani, ed evitando di guardarmi negli occhi, cominciò a farmi girare, mi disse: "Facciamo quel gioco che fai tu, ma questa volta lo farò io, e questa volta farà un pò male." Io caddi a terra, e lei se ne andò.
La sua partenza fu illacrimata, ma il sentimento di non aver lasciato nessuna traccia fu insopportabile. Era così che il mio nome veniva cancellato, con un colpo di spugna, da quella lavagna nera e impolverata, e tutto ad un tratto capii che per lei io ero solo...
Jean-Louis Trintignant.

CORRIGENDUM



Allora, il mio amico Tony ci teneva a precisare che la pizzeria , non si trova sulla 32esima strada, come da me indicata, ma bensì sulla 43esima, tra la 5a e Madison. Mi scuso infinitamente con i lettori per aver creato ulteriore confusione mentale.
Sorge la domanda spontanea: Sarò mica entrato nella pizzeria sbagliata?
Tony mi assicura che sono entrato nella pizzeria giusta, dove la pizza in effetti fa schifo, e che Rob non ci capisce una mazza ne di pizze ne di musica dato che continua ad affermare che i Chicago sono la migliore band mai esistita.

martedì 14 novembre 2006

L'Esule figlio della Borghesia

Sottotitolo: Volevo fare il Redattore, il Cantante Anni 60, o il Magnaccio...



Invece mi sono laureato in Giurisprudenza! Ero confuso, lo giuro! ero giovane, disarmato, e con un incredibile sete di alcohol. Così un bel giorno mi ritrovai Avvocato (così per dire) ed alcolizzato. JACKPOT!!!!!
Mi dissi: "Volendo, posso anche smettere di bere..."
Ma smettere di fare l'avvocato era un'impresa ancor più ardua.
Tenete presente che io l'avvocato lo facevo a New York City e non a Pescia Romana. I salari delle multinazionali dove prestavo servizio non erano assolutamente quelli degli stagisti dello studio legale Bettola & Pinnicchi.
Che fare?
"Se ti lamenti ... ti alzano lo stipendio!" mi diceva il collega, Tony Bardotti (nome molto Statunitense) anche lui disperato. Era diventata una sorte di "Tratta dei consulenti legali" ...
Ma eravamo Consulenti o Prostitute?
Questo era ancora da definire!
Tony voleva lavorare il legno. Suo padre non voleva. Tony aveva 43 anni ed era albino, il che lo rendeva particolarmente visibile in un quartiere di prevalenza italiana e portoricana, quindi presumo che Tony le avesse prese, le botte, da tutti i bambini del quartiere, e forse anche da quelli che scendevano da Long Island nei week-ends. Aveva scolpito una statua della Madonna "so fucking big that the whole fucking neighborhood has to fucking see it!" e l'aveva piazzata in giardino (trad.: così fottutamente grande che tutto il fottuto quartiere doveva fottutamente vederla) . Tony veniva dal New Jersey (n.b. per questo credeva indispensabile intercalare un "fucking" ogni 2 parole, a volte anche 3) e sarà pure stato triviale e non sofisticato, ma cazzo, in tribunale era un aquila! Sapeva esattamente che dire e la giuria lo amava.
Io, in corte me la cavavo ... mi aiutava la retorica e di solito qualche signora della giuria finiva sempre in lacrime; e alla fine anch'io vincevo.
Dopo una giornata passata in tribunale, fra delinquenti, killers e prostitute ci ritrovavamo al Bar del Ritz Carlton di Battery Park, e mentre tutti gli altri avvocati parlavano (mentre sorseggiavano martinis e mordicchiavano olive) delle battaglie vinte, io e Tony tiravamo noccioline per aria, cercando invano di acchiapparle con la bocca, e parlavamo di come lui voleva lavorare il legno, e di come io avrei voluto essere un cantante anni 60.
Avevo pure un nome. Mi sarei chiamato Steve Clark e avrei inciso solo con la RCA. Avrei fatto Canzonissima e tutti i Cantagiro. E oggi ci sarebbero state le clips, rigorosamente in bianco e nero, mandate in onda sulla RAI ad orari assurdi, di me che facevo "altalenare" le mie spalle a destra e a sinistra come un povero menomato e cantavo "Bada Bambina", proprio come faceva Gianni Morandi o Sergio Endrigo.
A Tony la mia idea piaceva, ma ci sarebbe voluta una macchina del tempo. Idea che non gli dispiaceva affatto, anche perchè Tony aveva il sogno, non tanto segreto, di conoscere Franca Marzi ai tempi del suo splendore (perfavore, non mi chiedete di quanto tempo fa si tratta...non lo saprei. A dire il vero non so nemmeno chi è Franca Marzi, ma apparentemente Tony aveva trovato dei giornali di suo padre e da allora se ne era innamorato).
Dato che non si torna indietro ma si va solo avanti, un giorno mi chiesi quanto tempo ancora mi sarei dovuto ritrovare al Ritz Carlton a parlare di cazzate e a sparare noccioline. Così un mattino, andai dal "President" e consegnai le mie dimissioni. Poi mi andai a mangiare un pezzo di pizza sulla 32 strada, Rob diceva che era "BUONISSIMA" quindi volevo provarla prima di lasciare per sempre NY. Faceva schifo...ma d'altrocanto Rob non era stato mai fonte attendibile di verità assolute.
Oggi vivo in Italia.
Sono disoccupato e apparentemente IPERQUALIFICATO; ed ho solo 32 anni.
Non so se l'Italia mi apparteneva o se io appartenevo all'Italia. So solo che volevo ritornare.
E ora ... non so che fare!
Quindi oggi mi ritrovo a fare l'editore di me stesso...ENJOY IF YOU CAN!