mercoledì 27 dicembre 2006

Piccoli avvenimenti che possono portare al riconoscimento di una presenza malefica, proprio dentro il tuo salotto



Fui molto contento, oggi, quando, rovistando cose vecchie in una bancarella, trovai lo spartito del Cello Concerto di Khachaturian … sconoscevo pure l’esistenza di questo spartito…eppure era lì, come nuovo…pronto per essere suonato! Senza esitazione, lo comprai. Lo portai fin dentro casa.
Fremevo all’idea di poter vedere come aveva disposto quelle note, in modo uguale, su sette righe, eppure ognuna diversa. I miei polpastrelli già anticipavano con piacere la ruvidezza delle corde, durante il pizzicato.
Ma ahimè … un foglio inaspettato cadde sul pavimento! Era una pubblicità antica, che qualcuno aveva ritagliato e conservato dentro lo spartito con tanta cura, cosicché io, un giorno, quando finalmente l’avrei trovata avrei potuto… URLARE: “MAPORCAMIGN@TTA’STOCAZ%ODINANOE’DAPPERTUTTO!!!!!!!!!”

I miei polpastrelli non conobbero mai il piacere del pizzicato.

mercoledì 20 dicembre 2006

Un Babbo Natale d’Indicazione GENEALOGICA tipica

Questo non doveva essere il post di oggi, ma è appena successo e lo volevo condividere con tutti voi.

Squilla il telefono, è mio fratello.
“Stè, percaso che c’avresti ‘na maglietta rossa?”
“hmm...non lo so, perché?”
“gli serve a Lorenzo per la recita di Natale, noi pensavamo d’averla…ma è troppo piccola, gli serve grande perché ci metteranno i cuscini per fare la pancia.”
“Si penso che ‘na maglietta rossa te la posso procurare…anche se ultimamente le magliette scarseggiano a casa mia (v. infra Il mistero delle magliette scomparse)”
“A proposito…ma tu ci devi venire alla recita?”
“A che ora è?”
“Alle 4:30”
“Si, un salto lo posso fare”
“Senti allora Lorenzo lo lascio a casa tua, lo fai mangiare, e poi lo porti alla recita…vabene? ci vediamo là?”
“O.K.”
“Non fare che me lo fai arrivare in ritardo alla recita!!!!”
“No…no…non ti preoccupare…alle 4:15 al massimo saremo là”

Alle 3:00, mentre mi preparavo, gli dissi “Lorè…guarda in quel cassetto, che sicuramente ‘na maglietta rossa la trovi”
Lorenzo trova la maglietta rossa, senza alcun tipo di problema, e tutti e due felici e contenti ci avviamo verso scuola, in anticipo come promesso. Appena arrivati, Lorenzo raggiunge i suoi compagnetti, come da copione, e io prendo il mio posto nell’auditorium assieme a tutta la mia famiglia sovraeccitata dall’evento, come se fosse la prima dell’AIDA alla Scala.
Apparentemente la parte di Lorenzo è la più importante, perchè deve fare la parte di Babbo Natale.
“Appena si aprirà il sipario, Lorenzo dirà la sua filastrocca e poi tutto il resto seguirà.” Mi spiega Eleonora.
Si spengono le luci.
Ecco il momento tanto aspettato.
Una maestra accende una di quelle luci blu….quelle che fanno vedere agli altri se a casa tua c’è la polvere o se hai la forfora.
Si apre il sipario.
Si vede una sagoma nera, apparentemente quella di Lorenzo. Ma è buio pesto…quindi non ne sono sicuro. Noto, però, che la luce blu sta facendo apparire una scritta sul torso di Babbo Natale. Strizzo un po’ gli occhi per vedere che dice. A lettere cubitali, sulla maglietta, si legge VINITALY.
Un boato!!!!
Adesso sono sicuro che è Lorenzo.
“Ma che cazz@ gli hai dato la maglietta di Vinitaly???? Ma ‘n’altra non l’avevi???”
“M’hai detto rossa!…la maglietta doveva essere rossa!…Rossa e XL! Non hai specificato nient’altro”
“Il rosso io non lo vedo!….Vedo solo un VINITALY grande quanto l’insegna della Pirelli”
“Non prendertela con me!… prenditela con la maestra…che ha spento le luci e acceso ‘sto cazz@ di luce blu”
Si sente un forte “shhhhhh!!!!” e poi un “E su, eh! È Natale…fateve du goccetti … e fatela finita!”
Silenzio imbarazzante
“Sei sempre il solito! Non si può mai contare su di te!” mormora Fabrizio.
C’è una pausa.
“A’ Fabrì…guarda che c’hai la forfora!”

sabato 16 dicembre 2006

…vagliami il lungo studio e ‘l grande amore, che m’ha fatto googlare lo tuo nome: Un raccontino

Emilio, prese il numeretto e aspettò il suo turno.
“386” gridò la commessa.
“si…vorrei due panini”
“di questi con i semi?”
“si … grazie”
“Altro?”
“no…grazie”
“paghi alla cassa”
Fu mentre si girò per andare alla cassa che lo vide. Era passato molto tempo ma lo riconobbe subito. Non era cambiato per niente. Con il braccio avvolto alla vita di una bellissima donna, rideva con denti bianchi e un morso odontotecnicamente perfetto. La stessa tracotanza di sempre lo distingueva da una massa di individui inosservabili. A lui tutto era permesso. A lui tutto era dovuto. A lui tutto veniva perdonato.
Non comprava mafaldine, lui. Nel suo cestino, ordinatamente disposte, stavano due bottiglie di prosecco, delle vongole veraci, e delle fragole fuori stagione. E anche alla cassa, la ragazza, che di solito non guardava nessuno, gli sorrise mentre delicatamente gli porgeva la ricevuta da firmare.

“Signore, guardi che ‘sta cassa ha chiuso!…Signò!!! E che famo!!! Sta lì impalato!” Esclamò la cassiera.
Emilio scosse la testa. “Si, mi scusi ero soprappensiero…diceva?”
“’Sta cassa …. E’ chiusa, deve annare all’artra!”
Emilio si girò e vide che la fila all’altra cassa era interminabile.
“Ma ho solo due panini!”
“E io c’ho d’annare a casa!”
Silenziosamente Emilio si mise in fila e aspettò il suo turno.
Arrivato a casa, scaldò la minestra di lenticchie che era avanzata dal giorno prima e accese la televisione. Mentre mangiava fece un po’ il resoconto del giorno. Al catasto non era andata malissimo. La macchina stava dando problemi. C’erano delle bollette ancora da pagare. Poi, senza nemmeno rendersene conto, il pensiero andò all’incontro.
“Perché?…” Pensò Emilio.
Si mise al computer, come ogni sera, ma questa sera invece di accedere ai suoi soliti siti e scaricare foto di ragazze in atteggiamenti pruriginosi, andò su google, e con mani tremanti, le cui dita erano consumate dalla psoriasi, lentamente digitò il nome:Giorgio Travezzi.
Emilio non credeva ai suoi occhi; 834 siti contenevano questo nome. Li controllò uno ad uno. I suoi occhi, si muovevano velocemente soffermandosi a tratti sulle parole che gli creavano una sorta di ira sorda: Dirigente, Multinazionale, Donne, Yacht, Premio, Modelle, Lusso, Riconoscimenti, etc. Le foto, trovate qua e là, facilitavano la ricostruzione di una vita perfetta. Emilio fu assalito da un sentimento che non seppe più riconoscere e decise di spegnere il computer.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio.
In mattinata, intorno all’alba, invaso da dubbi e domande, ritornò al computer, lo riaccese e con in mano la foto di gruppo fatta alle medie, cominciò a digitare una raffica di nomi.
Alessi Roberto, Reperti Antonio, Florio Carmen, Bisicchia Evelina, Tranà Sergio ….
Scoprì così, che il futuro predestinato a quei volti sorridenti e rubicondi era stato molto diverso dalla vita che era toccata a lui. Lesse parole come, Senatrice, Concertista, Scienziato, Tronista, Magistrato…
Cosa era successo? Dove aveva sbagliato? A scuola era sempre stato uno fra i primi.
Cominciò a piangere, e preso da un raptus violento cominciò a vituperare contro Dio …

Decise così che quella Domenica non sarebbe andato a messa.

giovedì 14 dicembre 2006

14 Dicembre: Concessa l’indulgenza plenaria a tutti i lettori del neo_scapigliato.

Anche se non si direbbe… è passato già un mese!
Oggi, 14 Dicembre, io e il mio blog compiamo il primo mese on-line!
Come tutte le mie cose, pensavo, che l’entusiasmo del blog sarebbe svanito dopo un paio di settimane; mi sbagliavo!
Comunque, il merito va più a voi che a me, perché con i vostri commenti e le vostre emails avete mantenuto alto il mio senso di dovere come blogger, nonché il mio spirito di pseudo-artista (non so come ho osato definirmi tale, ma oggi è il mio complemese e mi posso permettere “quasi” tutto.)

Volevo ringraziare soprattutto tre persone:

- Gigi “parolibero”(da cui ho tratto l’ispirazione iniziale di cominciare un blog, e che ha anche scritto un racconto che, violentemente, si è fatto posto fra i miei preferiti e cioè: “L’incredibile anno del Subbuteo”… anzi invito tutti a leggerlo, e a mandare un’email di lamentele a ScrittoMisto per non averlo pubblicato. Clicckate sul link parolibero e avrete tutte le informazioni che vi servono)
- Gianluca “né arte né parte” (per essere stato un impavido lettore, e per aver sempre capito il vero senso di quello che ho scritto. Poi, perché è un critico esemplare, e soprattutto un grandissimo artista… anzi, vedi di sistemare quel problema con i commenti, prima che chiamo Blogger e comincio ad urlare!!! E una volta che comincio, non mi potrà fermare più nessuno)
- Last but not least (scusate, mi pare che sia intraducibile) Diego di "Diego D'andrea", il cui impeccabile stile di composizione, provoca in me un livello di invidia (penso sia del tipo forza 8), chè quasi mi sento Antonio Salieri quando lo leggo; Invidia (sottolineiamo di indole buona) che fortunatamente mi sprona a sedermi qui, ogni giorno, pur sapendo che neanche in mille anni riuscirò ad emulare le sue così perfette connessioni lessicali.

Ringrazio, inoltre tutti quelli che hanno mai lasciato/che lasciano/o che lasceranno in futuro, qualsiasi tipo di commento.
Ringrazio i timidi che leggono senza lasciare nessun commento.
Ringrazio chiunque abbia mai clicckato, anche se per solo sbaglio, questo blog.
E per finire, ringrazio “la topolina” che fa finta di non leggermi, ma che ogni tanto passa pure lei a fare visita (l’ho saputo … e basta!): te l’avevo detto che con me non sarebbe stato facile … ma se ci pensi, chi cazz@ vuole le cose facili? Solo i deboli! Comunque, credimi, un giorno mi ringrazierai … e goditelo ‘sto cazz@ di otto volante … è la cosa più divertente in tutto il luna park!

P.S. Non vi abituate a questi momenti di bontà perché, col passare del tempo, diventano sempre più rari.

E poi non ditemi che non ho ragione, quando dico che:

Trovo che l’incomunicabilità sia una cosa stupenda,
perché ci fa soffrire tutti allo stesso modo
e ci obbliga a tirare fuori il meglio e il peggio di noi stessi,
nel vano tentativo di giustificare tutte le nostre caz%ate.


Il vostro,
neo_scapigliato

mercoledì 13 dicembre 2006

Estate violenta

INTER NOS

Eccoti la spiegazione che mi hai chiesto.

L’irresistibile e ormai indispensabile necessità di illuminare l’ovvio.

Mio nipote è arrivato con in mano un tema che aveva fatto a scuola. Il titolo era, parla della tua famiglia. Lo svolgimento era all’incirca questo:

Ho un papà. Mio papà si chiama Maurizio ed è nato a Trieste nel 1965. E’ Maschio. Ho pure una mamma che si chiama Eleonora, è nata a Vicenza nel 1968. E’ femmina.

Ai giorni d’oggi niente è scontato.

martedì 12 dicembre 2006

L’aspirazione di arricchire un’inutile giornata con le illustrazioni di mostri.

Mi sveglio. Il cellulare sembra ansioso di cominciare la giornata; vibra e saltella mentre gracchia la sigla di Mr. Magoo. Io non ho proprio voglia. Cazz@! Maledico i buoni propositi della sera prima che mi hanno fatto posizionare il perfido aggeggio lontano apposta cosicchè mi alzassi. Lo lascio suonare, si stancherà prima o poi. Mi stanco prima io. Mi alzo. Mi fumo una sigaretta. Scendo al bar a prendere il solito cappuccino con brioche e due pacchetti di Lucky Strike. Rientro. La gatta ha dormito di nuovo d’avanti la porta, c’è puzza di piscio. Mi svesto e mi faccio una doccia. Mi rivesto. Impongo ai miei capelli la presenza di ben tre prodotti differenti, poi prendo il violoncello e provo la 6° suite di Bach. Franz Listz aveva la caparbietà di provare per 14 ore di fila. Dopo la seconda ora decido di mollare; C’è un motivo perché mi chiamo von Hauser e non Liszt. Leggo un paio di blogs. Accendo la televisione. Guardo Il giardiniere sul 118. Mangio. Leggo altri blogs. Blackwolf ha scritto il post dei vaf*ancul@. Penso a quante persone vorrei mandare a fare’ncul@. Lascio un commento, ma decisamente limito la mia lista, non vorrei sembrare troppo negativo. Ci tengo a quello che pensa, la gente, di me. Scendo al bar a prendermi un caffè. Il barista parla della Lazio. Ascolto. Rientro a casa. Controllo la posta. Sono arrivate le carte del divorzio. Le leggo. Vado a dormire. Mi sveglio. Controllo email. Rispondo email. Mia sorella chiama. Cazz@! “Tuo fratello vorrebbe che tu andassi a mangiare a casa sua stasera.” “Scusa ma allora perché non mi chiama lui?” “Perché voleva che mi assicurassi che tu ci saresti andato” “Dieci anni di analisi a testa non vi farebbero male!”. Finalmente, riesco a chiudere. Lascio un commento su né arte né parte. Il suo post è stato grande oggi, parlava di toppe. Esco. Vado da Mondo Arancina a mangiarmi un’arancina…Odio il fatto che lì, i supplì li chiamano arancine e non arancini (come li chiamava mia nonna). Penso al commento di Diego che mi ha detto “arancine tutta la vita!” cerco di immaginare come sarebbe la mia vita se potessi mangiare solo arancini. Sono in estasi. Dopo il secondo arancino, però, l'idea non mi entusiasma più. Vado alla Mondadori dietro l’angolo. Guardo la sezione degli Adelphi. Non trovo giusto che la Mondadori venda i libri di Sàndor Màrai. Che si limitasse a vendere il Codice da Vinci. Compro tutti i libri di Marài. Cammino a piedi. Mi fermo d’avanti un negozio di cose elettriche. In vetrina hanno un lampadario impolverato. Entro. “Salve, cosa stava cercando?” “Un lampadario” “Per che tipo di stanza?” “Non lo so!” “Non sa dove dovrebbe andare?” “No!…voglio quel lampadario là fuori” Il commesso ha l’aria perplessa. “Devo fare un regalo”; l’aria del commesso non si ristabilisce. “Allora ha deciso, per quello esposto in vetrina?” “Si, me lo può incartare?” “Di solito non incartiamo lampadari” “O.K. allora me lo porto così com’è”. Esco per la strada con l’enorme lampadario in mano. Ho l’aria gratificata. Penso, con un lampadario in mano, le persone che mi guardano, potrebbero avere l’impressione che ho finalmente qualcosa da fare. Forse, anche qualcosa di importante; ma non mi sovvengono esempi di cose importanti che coinvolgono l’uso di un lampadario. Ricevo la chiamata di mio fratello che m’invita a casa sua. Ci vado. La solita finta accoglienza d’avanti la porta. “Ma che hai lì?” “un regalo” “ma noi non abbiamo bisogno di un lampadario” “beh, questo lo dici tu!” rispondo io. Mia cognata mormora nell’altra stanza. Mangiamo. Saluto e me ne vado. Raggiungo il Franco e Bruschetta all’Irish Pub, situato all’EUR. Non mi sento come se fossi in Irlanda. Eppure è tutto così preciso. Poi, mettono il cd di Laura Pausini. Ora mi sento decisamente in Irlanda. Mi tiro le pellicine delle dita. Esce del sangue. Due ragazze entrano. Una è un cesso, l’altra un cesso e mezzo. Franco dice che una si potrebbe fare, ma solo a luci spente, l’altra manco se lo pagassero. Bruschetta non parla ma ride; l'altro suo soprannome è il Cozzaro Nero, va da se che se le farebbe tutte e due. Il cesso e mezzo ha una maglietta con la scritta LOVE. Penso: l’amore su una maglietta è il massimo a cui tu possa aspirare. Mi dimentico però che i pensieri a volte si posso leggere nell’espressione di un viso. Stavolta ho deciso di fregarmene. Mi chiedo come Dio può lasciare accadere cose del genere. La nascita di repellenti creature. Che prima vanno alla UPIM a comprare vestiti e trucchi, e poi a rimorchiare nei pub. BASTA! Non mi sento più in Irlanda. Dovevo fermarmi alla settima birra. L’undicesima la sto cominciando a sentire. Vado a casa. Scrivo questo post. Lo pubblico prima che me ne pento. In qualche modo è confortevole sapere che domani farò esattamente le stesse cose.

lunedì 11 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

PARTE TERZA E ULTIMA

“Noto con piacere che non sei per niente cambiato” disse Lilian mentre mi baciava sulla guancia.
“Vorresti forse dire che il tempo è stato particolarmente clemente con la mia persona?”
“Beh, veramente mi stavo riferendo più alla tua sempiterna avversione nei confronti del genere umano, cioè, stai lì da solo con uno sguardo di disdegno mentre ti affoghi di birra…”
“Si! Va bene…la misantropia blah blah blah, ma come mi stai trovando …attraente come sempre?”
Si mise a ridere: “Oh, l’ostentata vanità…nemmeno quella è cambiata!”
“Hey! La vanità è una virtù, se ostentata con stile”
Mi guardò negli occhi e mi disse: “Stefan, mi fa davvero piacere rivederti, mi sei mancato! Riesci sempre a mettermi di buon umore.”
“Ma dimmi… la tua dolce metà? A casa?”
“Si è a casa…E’ buffo! Quando gli ho chiesto se voleva venire mi ha risposto che non sarebbe venuto perché Marco, Clara e tutta la combriccola gli fanno puzza di proletariato.”
“ovviamente non era al corrente del fatto che ci sarei stato io a ripulire il tanfo con il mio snobismo aristocratico”
“Si, infatti…non era al corrente della tua presenza, altrimenti non sarei potuta venire neanche io”
“E perché?”
“Perché…perché…” si soffermò un po’, sbuffò e guardando altrove mormorò un “non lo so, perché!”
Ma lei lo sapeva. E adesso lo sapevo anch’io.
Conoscevo quello sguardo evasivo, quel soffio emesso con forza, quel respiro inquieto che cerca disperatamente di liberarsi, erano sintomi che avevo già visto prima, ogni volta che una storia stava per finire. Ma stavolta, c’era una rassegnazione in quegli occhi, celata dietro ciglia eccessivamente truccate.
“Allora continuerai a startene da solo qui in un angolo per la tutta la durata della festa?”
“No veramente stavo pensando di uscire a fumarmi una sigaretta”
“Si, in effetti c’è un po’ di caldo”
Sul balcone, dopo aver acceso la sigaretta, fra sguardi ammiccanti e loquaci momenti di silenzio, trovammo finalmente la complicità di sempre. Ad un tratto, Lilian si guardò attorno, come per vedere se ci fosse qualcuno che la potesse vedere, poi mi disse “fammi fare un tiro!” mi afferrò la mano e avvicinò la bocca. Le mie dita sfiorarono lievemente le sue labbra, mentre la sua mano stringeva con forza il mio polso. Smarrito fra i suoi lineamenti nordici, il suo collo incorniciato da capelli biondi, sottili, che odoravano di camomilla, allontanai bruscamente il mio torso che si stava a poco a poco appoggiando al suo.
“questo mi sembra un deja-vù di quando ci nascondevamo a fumare dietro il muro della chiesa.”
“Gia!” disse lei mentre si sventolava il fumo dal viso.
“Penso che a questa età, una sigaretta, te la potresti fumare senza che nessuno ti dica niente.”
Fece un movimento strano con le labbra, lo stesso movimento che fanno le ragazze dopo aver applicato il rossetto. Poi mi disse: “Ho smesso di fumare! Faccio un tiro qua e là, qualche volta.”
Poi, con un modo di fare deciso mi disse: “Senti mi rompo a stare qua, ti va di fare un giro?”
“C’è bisogno di rispondere?”
“Allora vado a prendere il giaccone”
“Te lo vado a prendere io il giaccone se tu invece vai a parlare con Flavia”
“In che senso?”
“Nel senso che…sono venuto in macchina con lei, non so quanto le possa fare piacere se adesso me ne vado con te”
“Beh, allora esci senza farti vedere, anzi farò la stessa cosa anch’io…lo sai com’è, adesso sono una donna sposata.”
“Potremmo uscire dal retro”
“O.K. vado a prendere il giaccone e ci vediamo fuori.”
L’anticipazione di quello che sarebbe potuto accadere mi stava uccidendo. Appena uscito dal portoncino sul retro, con le mani tremanti e il fiato corto, accesi un’altra sigaretta. Lilian arrivò dall’altro lato della strada; era uscita dalla porta principale.
“Ma che hai fatto, pensavo che fossi uscita anche tu come una ladra dal portone sul retro?”
“No, Olga mi ha visto, le ho detto che avevi un fortissimo mal di testa e che ti stavo accompagnando a casa.”
Ci infilammo in macchina e accese i riscaldamenti. Poi mentre gli Hall & Oates cantavano “I can’t go for that” ci avviammo per vie inesplorate.
“Avrei voluto chiamarti…ci sono state molte volte…che…”
“Perché non l’hai fatto?” le risposi.
Con un fermaglio fra i denti, le mani che ricomponevano i capelli e il piede sull’acceleratore mi rispose :”Non potevo! Comunque volevo che tu sapessi che per me nulla è mai cambiato e che, pensare a te, nei momenti di totale depressione, mi ha sempre aiutata.”
“Mi fa piacere”
“E per te?”
“Per me, cosa?”
“E’ cambiato qualcosa?”
Aspettai per rispondere; Odio l’idea di concedermi così facilmente. Ma alla fine la rassicurai dicendole che nulla era cambiato.
Così fermò la macchina, mi cominciò a toccare i capelli e con tono imperativo mi disse: “non fare nessuna domanda, non pensare, chiudi gli occhi e baciami!”
Sembrava sapesse quello che stava facendo, così la seguii.
La passione aveva avuto un’imperdonabile negligenza nei miei confronti ultimamente, ma in quel istante era riapparsa incendiando letteralmente la mia coscienza.
Finalmente, con il solo tatto riuscivo a colmare quell’ormai troppo diffuso vuoto interiore. Questo momento, l’avevo desiderato ormai per troppo tempo, non l’avrei rovinato con pensieri, riflessioni, considerazioni, rimorsi o perplessità . Nel mondo, per quanto mi riguardava, esistevano solo il mio corpo e il suo corpo; nient’altro. Non c’era nemmeno più bisogno di parole.
Ma, una parola ci fu; Purtroppo!
All’acme della passione, Lilian sussurrò: “Si, dai….smucinami così…non ti fermare!”
“AHHHHHHH?????????”
Smucinami! Aveva detto davvero SMUCINAMI? Il verbo smucinare evocava in me il ricordo di numeri di tombola e mani che rovistavano in un sacchetto. Avevo lasciato per un paio d’anni un’amante del romanticismo Inglese, e mi ero ritrovato con una che mi parlava come se stesse facendo uno spot per un telefono erotic@? In quell’istante mi resi conto di aver perso anni ad inventare una storia romantica con la persona sbagliata.
Con uno sguardo di disgusto misto orrore, subentrato alla sua richiesta di smucinamento, potei solo dirle: “Stiamo facendo uno sbaglio… forse e meglio che ritorni da tuo marito.”

domenica 10 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

PARTE SECONDA

Subdolamente cercai di capire se nel corso di questo party infame, Lilian ci avrebbe graziato con la sua presenza. Esisteva un barlume di possibilità. Quindi, comunicai a Flavia la mia intenzione di partecipare alle festività, la cui, posseduta da chissà quale tipo di demenza temporanea, improvvisò un tristissimo gesto di vittoria.
In macchina, Flavia mi chiese se quella sera avrei dormito a casa sua. Sbigottito dalla proposta (vedi post La spietata dinamica del Twist, infra) risposi di essere incerto riguardo gli eventi che avrebbero preso luogo quella sera. Arguii che la demenza di Flavia non era temporanea.
Fui piacevolmente colpito dall’organizzazione del party. Marco e sua moglie Clara avevano soverchiato qualsiasi mia aspettativa di squallore. C’era il banchetto appoggiato al muro, tovagliato di bianco, con in mezzo una cofana di patatine, due ciotole di party mix (gli stuzzichini che nessuno ha mai mangiato) e diagonalmente disposte, su di un lato, c’erano due bottiglie di Coca Cola e una torretta di bicchieri di carta, sul lato opposto della tavola si trovavano invece due bottiglie di Birra Poretti, accostati anch’essi ad un’altra torretta di bicchieri di carta.
Travolto da questa dovizia di vivande, mi tuffai sulla birra Poretti.
“Non vorrei sbagliarmi…ma i bicchieri di carta, posizionati così vicini alle bottiglie, forse, volevano dare l’impressione che tutti potessero avere in usufrutto un’equa porzione di birra Poretti, la presenza dei bicchieri, inoltre, garantiva che la birra sarebbe stata priva di particelle salivari …indi per cui, non credo che a te toccasse una bottiglia intera, né credo che gli intrattenitori siamo particolarmente estasiati dalla vista di te che bevi dalla bottiglia.” Disse Flavia.
“Beh, ho pensato che prima o poi stasera avreste avuto bisogno di una bottiglia vuota per fare i vostri giochini …Cazz@! Clara ci ha puntati, si sta dirigendo verso di noi!“
“Toh! Guarda, c’è Mauro, io vado a salutarlo.” Esclamò Flavia mentre mi abbandonava come un cane su un’autostrada.
Mi ricordai che da piccolo, dopo essere stato circondato da un gruppo di cani randagi, la signora Gina, la panettiera per intenderci, mi disse che semmai qualche cane mi avesse dato fastidio un'altra volta, sarebbe bastato solo ripetere per tre volte “San Vito chiamati il cane” e il cane o i cani avrebbero, immediatamente, cambiato rotta. Rivolgendomi a Dio, pregai per la temporanea estensione della giurisdizione di San Vito affinchè includesse anche altri tipi di compagnia indesiderata.
Ma come al solito, Dio fu fiscale, perché Clara continuò ad avanzare verso di me.
Non un solo minuto della conversazione che seguì la mia invocazione, fu annotato nella mia coscienza; Dicono, in effetti, che Dio operi in modi misteriosi. Il miracolo comunque avvenne mezz’ora dopo, quando Clara venne chiamata in cucina, ed io attraverso gli occhi ormai appannati dalle lacrime che si erano cristallizzate durante il monologo di Clara, vidi Lilian entrare timidamente con una bottiglia, incartata con tanto di fiocco, in mano. Il suo nome echeggiò e come una povera martire venne subito circondata da Filistei pronti a renderla soggetto della loro mentalità meschina e conformista; capii che dovevo aspettare il mio turno. Aprii l’altra bottiglia di Poretti e senza che me ne accorgessi mi trovai a cantare, appoggiato al muro con lo sguardo che vagava nel vuoto, la canzone che stava suonando in quel momento; State of the Nation degli Industry (il cd era 80s revival, che quasi mi sentivo in uno di quei film con Molly Ringwald e Andrew McCarthy; l’unica differenza era che noi non eravamo esattamente adolescenti ingenui ma trentenni provati e frustrati). Fu proprio durante la doppia voce che fa “a message from the telephoooone” e “I’m waiting for the chance to come home” che mi accorsi che Lilian mi stava osservando e arrossii, il che la fece ridere. E questa fu cosa buona, perché mi gesticolò di aspettare. Un minuto dopo, con molta grazia riuscì a congedarsi dagli scellerati interlocutori e venne incontro a me. In quel momento, la canzone “nel sole” di Albano suonava … nella mia testa.
(...)

giovedì 7 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

Le avevo espressamente chiesto di non venire. Ma come al solito Flavia non mi ascoltò. Così alle 8:00 in punto, Flavia era sfacciatamente seduta sulla poltrona del salotto di mia madre, cercando disperatamente di convincermi ad uscire.
“Dai! ci saranno tutti! Vedrai che ti divertirai. Ne sono sicura!”
“ Quando dici frasi del genere mi rendo conto di quanto poco mi conosci. Dammi un motivo valido, perché dovrei, con le mie stesse mani, infliggere sulla mia persona questa sevizia, andandomi ad infilare a casa del Marco per socializzare con gente che mi sono addirittura dimenticato di odiare, ormai da anni.”
“Almeno fai qualcosa e non stai chiuso qua dentro come un'eremita.”
“Faccio qualcosa? Che cosa? Ricominciare ad odiare questa gente, non mi sembra un opzione così tanto allettante. No, grazie, c’è ben altro che potrei fare con il mio tempo. Sai, adesso ho il mio blog…” La notizia passò inosservata.
“Tutti mi hanno chiesto di te, sanno che sei tornato e ti vogliono vedere. Che male c’è? Vai li, ti bevi qualcosa, saluti e te ne vai.”

Era la solita storia. Ogni anno. Ma la cosa che odiavo di più, era il fatto che queste riunioni non erano fatte per il piacere di rivederci. No, quello lo cominci a perdere dopo i vent’anni. Il motivo latente che pilotava queste riunioni era la curiosità morbosa di confrontarsi con la vita degli altri. Erano occasioni per vedere in che posto stavi nella graduatoria dei successi e dei fallimenti.

Per le donne i successi, quasi sempre, venivano imboccati con l'uso dei messaggi subliminali, o, in alternativa, come se fossero cose di cui lamentarsi. “Seby quest’anno ha comprato il Mercedes classe G, ma sai, con i tempi che corrono …” oppure “Cara, le tre crociere dell'anno scorso, mi hanno massacrata, io di sicuro indosserò le pantofole almeno per altri due anni...Anche se lo dico ogni anno e non lo faccio mai!” Fortunatamente, gli uomini, sono più diretti: “Cazz@, l’anno scorso ho comprato delle azioni che quest’anno stanno spaccando il cul@ ai soldi”. Cosa si potrebbe dire mai davanti a cotanta trasparenza.

“A proposito di gente che mi ha chiesto di te, ho visto Lilian, l’altro giorno.” Disse Flavia all'improvviso.
Adesso il discorso sembrava interessarmi, perché alla sola menzione del nome Lilian, fui istantaneamente colpito da un rapido acceleramento dei battiti cardiaci.
“Lilian?”
“Si è tornata pure lei. Il marito è stato trasferito. Hanno due bambine, le ho viste l’altro giorno, sono molto carine assomigliano tutte a lei, tranne la grande che c’ha il capoccione come il padre.”

So che in questo momento state mettendo in dubbio la mia spiccata moralità, ma non è assolutamente come sembra.

Io e Lilian ci conoscemmo negli anni quando una cotta faceva male; Male sul serio. Quando il cuore batteva veramente, e pareva che si spaccasse quando ad un appuntamento lei, per caso, ritardava ad arrivare. Quando al solo pensiero che avrebbe chiamato, ti mancava il fiato. Noi c’eravamo amati veramente e totalmente dal primo giorno. Lei dice che fu dopo che mi sentì parlare del suicidio del Werther che si innamorò, ma questa affermazione è opinabile. Sentimentalmente eravamo cresciuti assieme. Precocemente, avevamo raggiunto una maturità la cui aspettativa rovinò tutte le storie d’amore che seguirono. Io abitavo negli USA e tornavo solo d’estate e a Natale, così di comune accordo decidemmo di avere le nostre storie quando eravamo distanti; ma mi pregò di non parlarne mai. Dopo la maturità, Lilian si trasferì rendendo ancora più difficile il prolungamento della storia. Cercò molte volte di farmi capire che se io le avessi chiesto di seguirmi negli USA, lei lo avrebbe fatto. Ma io non mi sentivo ancora pronto. Quando finalmente mi decisi, lei aveva già conosciuto il futuro marito e stava andando a convivere. Moltissime volte negli ultimi anni, mi ero ritrovato a pensare a lei, e a come sembrava essere stata la persona più pura che avessi mai conosciuto. Immancabilmente, ogni volta che una relazione finiva, scoraggiato dal rolodex di nomi dimenticabili che si affastellavano confusamente l'uno sopra l'altro e dall'indifferenza che ormai sembrava esser diventata il minimo comune multiplo di tutte le mie storie, il mio pensiero andava a Lilian; l'unica ragazza che mi capì e che mi amò esattamente come volevo essere amato.

Di conseguenza mi venne molto difficile capire perché fra tanta gente lei avesse scelto lui. Lilian amava recitare le poesie di Shelley e Keats. Quando dormivo,scriveva frasi sulla mia schiena, che mi toccava leggere una volta a casa con l’aiuto dello specchio del bagno. Amava gli epigrammi che io scrivevo riguardo i suoi polsi gracili e bianchi. Quindi, per favore, spiegatemi che cazz@ chi faceva ora con un odontotecnico che si spacciava per dentista, che ha l'elegantissima abitudine, quando esce fuori, di chiamare il cameriere alzando la mano con un biglietto di €100 piegato fra l’indice e il medio, che ritira scherzosamente quando il ragazzo arriva. Che cazz@ ne può sapere mai, un tipo come questo di Chateaubriand?

E’ inutile dirvi che decisi di andare.

mercoledì 6 dicembre 2006

Il Mesto epilogo di Via Panisperna

I neutroni lenti si sono trasformati in neuroni lenti.
Trovo ironico che seduto, proprio come me, solo un po’ più in là
Fermi formulò la teoria del decadimento beta.
Il mio non è proprio beta, è solo decadimento.
“Sollevati contro l’oppressore.” Qualcuno dice.
“I desideri sono solo frustrazioni” Qualcuno continua.
Sono ispirato, ma non dura; Perchè odio il patetismo e i tre scalini c’ha la birra cruda oggi.
Comportamento e parole elusive, diceva mio papà.
“Fratelli! La rivoluzione si farà. Domani, ma si farà!…Si, Ma non svegliatemi presto. Vi chiamo io...sul tardi!”

martedì 5 dicembre 2006

Un’inevitabile esperienza traumatica, tuttavia formativa, durante un San Patrizio, che altrimenti sarebbe passato inosservato.

Appena entrai nel suo ufficio, Anita Braxten, mi guardò dall’alto in basso e mi disse:”Abbiamo preso in visione il suo curriculum, e siamo stati piacevolmente colpiti dalle sue credenziali, la mia assistente ha già contattato lo Stage Coordinator del suo college riguardo i crediti accademici che lei riceverà se dovesse essere scelto per lo stage. Stiamo comunque considerando altri candidati, quindi le dovrò fare qualche domanda.” Io rimasi ritto ad ascoltare. Annuivo con la testa di tanto in tanto, tanto per dare l'idea di essere vivo durante questo monologo. Con acuta avvedutezza, comunque, mi assicurai che non una sola parola uscisse dalla mia bocca.
“Volevo sapere se poteva farmi lo spelling e darmi la definizione esatta della parola INEVITABLENESS?”
Trovai il tutto un po’ insolito, ma risposi lo stesso. “I-N-E-V-I-T-A-B-L-E-N-E-S-S : l’incapacità di evitare o evadere qualcosa il cui avvenimento è certo o pressochè sicuro di accadere nei momenti meno opportuni”
Senza nemmeno alzare lo sguardo dal mio curriculum, Mrs. Braxten, mi disse “Perfetto. Abbiamo tutte le sue informazioni, la mia assistente, July le mostrerà la via d’uscita.”
“Cazz@!” pensai. “Forse non avrei dovuto aggiungere quel pressoché sicuro di accadere nei momenti meno opportuni. Devo sempre strafare. Se non mi offrono lo stage sono praticamente fottuto!”
Ma fortunatamente lo stage mi fu offerto, lo stesso giorno. Appena arrivai a casa, July aveva già lasciato un messaggio sulla segreteria facendomi sapere quando mi sarei dovuto presentare in ufficio per cominciare.
“Il lavoro svolto nel nostro dipartimento è molto frenetico. Spero che tu sia stato avvisato riguardo gli orari e le ore di straordinario richieste. Purtroppo, ci saranno molte notti che ci vedranno chiusi qui dentro.” Disse la Braxten, quando mi vide per la seconda volta.
E, in effetti, le notti ci furono. E, esattamente come aveva previsto, ci videro chiusi li dentro, nel suo ufficio. Prima si faceva l’amore, poi mangiavamo del pollo con le mandorle ordinato dal cinese sulla 52esima. Pensai che il pollo fosse non una conseguenza alla congiunzione carnale ma solo una banale coincidenza. Qualche volta, la mattina trovavo sulla mia scrivania, dei piccoli regali incartati sempre con molta attenzione. La maggior parte di volte erano cose di poco conto. Ogni sabato mattina, invece, mi faceva recapitare a casa dei cesti dai vari negozietti di pietanze gastronomiche, considerati ora di moda , che a poco a poco stavano invadendo Manhattan. Ma dei regali non ne parlammo mai.

Il Sabato che marcava la festa di San Patrizio non ricevetti niente. Quella mattina mi svegliai con il peggior attacco d’allergia che avevo avuto in anni. Le farmacie erano chiuse e tutti i miei amici erano andati a vedere la parata. Per disperazione, avevo preso degli antistaminici, che avevo trovato nel fondo di una valigia, i quali, mi accorsi dopo, erano scaduti da almeno due anni. Cominciai, quindi ad avere una reazione che mi causava la vista di aloni verdi rossi e blu. Pregai che queste pillole decadute non avessero MAI alcun effetto deleterio sulla prostata, su cui avevo visto uno special, giorni prima, e ancora non mi ero ripreso dallo shock. Poi cominciai a provare una strana sensazione, che attribuii alla pressione, ora non so se fosse troppo alta o troppo bassa, so solo che mi dovetti sdraiare sul letto con la carta igienica appallottolata dentro le narici, mentre boccheggiavo come un SUB. Sentii bussare con veemenza alla porta. “Ecco l’immancabile cesto sabatino” pensai. Cercai di vestirmi, ma rinunciai celermente all’impresa, tanto avrei aperto con la catenina e avrei detto al portiere di lasciarlo sul pianerottolo. Ma appena aprii l’uscio ricevetti una spinta inaspettata dall’altra parte. Era Anita che gridava “apri, mio Dio, apri!” mentre continuava a spingere. Non riuscivo nemmeno a parlare così gesticolai come per dire “Aspetta, richiudo e apro”. Non feci nemmeno in tempo a togliere la catena che Anita era già entrata, con una valigia che straripava di vestiti e non so che altro. La guardai perplesso, con uno sguardo che attendeva una spiegazione.
“Quel porco schifoso di mio marito! Ho scoperto oggi, che si fa la segretaria.”
La superai mentre stava per entrare in cucina e mi affrettai a stabilire qualche forma di ordine in quella stanza. Riuscii appena a togliere i calzini dal lavandino e a buttarli per terra, quando Anita scoppiò in un pianto isterico. Cercai di abbracciarla, ma trovai la situazione alquanto imbarazzante. Così evitai e mi andai a chiudere nella mia stanza.
Chiamò il marito svariate volte. Una volta lo accusò di impotenza. Un’altra di essere un pervertito. Un’altra volta lo minacciò di divorzio. Poi lo richiamò dicendogli che si sarebbe tolta la vita. Mi affacciai turbato da quest’ultima dichiarazione, ma la trovai seduta mentre cercava di sistemarsi un’unghia che le si era spezzata. Il marito non richiamò. Anita ebbe un'altra crisi di pianto isterico.
Le chiesi se aveva fame. Non avendo niente a casa, le proposi di ordinare del pollo dal cinese. Ma ricevetti una risposta alquanto inaspettata.
“Come puoi pensare al sesso in un momento come questo.” Invaso da una sensazione di confusione mista a disgusto arguii che il pollo non era solo una banale coincidenza, ma decisi di non indagare oltre.
Le minacciose chiamate continuarono. In preda ai tremori, Anita decise di ricorrere all’aiuto divino e al valium. Poi quando finalmente quest’ultimo cominciò a fare effetto, si sdraiò sul mio letto, e mi disse: “Che ci vuoi fare? Anch’io sono una donna!” appoggiò la testa sul cuscino, canticchiò per un po’ la canzone di Top Gun e si addormentò.
Il marito la venne a prendere la stessa sera. Penso che avesse intuito il perché lei avesse scelto il mio appartamento come rifugio, ma non mi chiese niente. Lei, con gli occhi ancora gonfi, mi salutò sorridendo e mi ringraziò. Lui la avvolse con un visone e reggendola scesero per le scale. Sembravano quasi felici.

Appena chiusi la porta, notai con piacere che potevo un’altra volta respirare, l’evento mi aveva fatto dimenticare totalmente la moltitudine di malesseri che mi avevano colpito quella mattina. Decisi così di scendere per strada, con la speranza di godermi gli ultimi momenti delle festività Patriziane al pub del Roscio. La totale desolazione mi attendeva. Vidi una coppia di ubriachi inciampare e cadere su una montagna di immondizia, avevano l'aspetto di chi si fosse davvero divertito. Ma anche io, paradossalmente, ridevo e emettevo un espressione compiaciuta. Il mio giorno di San Patrizio non era assolutamente passato inosservato, e per motivi ancora non ben chiari, in quel momento mi sentivo più adulto.
“Il solito scotch on the rocks?” disse il Roscio.
“Si ma doppio! Oggi voglio festeggiare”
“Festeggiare che cosa? San Patrizio ormai è finito” disse il Roscio ridendo.
“E’ difficile da spiegare…non so perché… ma è come se sapessi che il ricordo di oggi, mi servirà da lezione, in futuro… ”

domenica 3 dicembre 2006

Nell’anno bisestile, il pomeriggio di quel giorno extra, prenderemo, una volta per tutte, una posizione su questa faccenda dell’amore

...di cui si parla tanto!

Dissuaso dalla trama che si prolungava di giorno in giorno, senza eventi che fossero meritevoli di repliche, decisi di fare un inchino, ed uscire con grazia dalle pagine del suo manoscritto.
“Rimarrai sempre uno stronzo” disse lei con uno sguardo di disprezzo.
Grazie a Dio, non avevo previsto nessun cambiamento repentino delle mie caratteristiche personali, di conseguenza, rimanere uno stronzo, non mi avrebbe allontanato da nessun buon proposito.
“Come disse Bruno mentre si scaldava i piedi a Campo de’ Fiori, tremi più tu nel pronunziare questa condanna che io nel riceverla.” Dissi mentre spegnevo la sigaretta.
“L’ho sempre saputo che eri uno stronzo!”
Sarà. Ma non avrei potuto continuare. Non così, non in questa vita. All’inizio pensi sia solo paura, e che ti ci abituerai. Vedi gli altri e pensi:”Pure loro hanno firmato un mutuo di 30 anni, un motivo valido ci sarà?” Ma il mutuo, loro, l’hanno firmato solo perché hanno visto te, pronto a vincolarti con lo stesso mutuo. E si va avanti così. Fino a quando ti ritrovi chiuso in macchina, ritornando dall’ufficio, a pensare: “Dio, che cosa le dirò stasera.” Pensi a qualcosa di divertente, successa in ufficio, forse questo rallegrerà la serata. Ma purtroppo il suo senso d’humor ha seguito passo dopo passo il tuo, e tutti e due gradualmente sono andati a peggiorare. Come i regali a Natale. Ed io non ce la farei a ricevere un’altra cravatta Hermes, quest’anno.
“Posso dedurre, allora, che accoglierai con esultanza le mie dimissioni, senza farmi venire inutili sensi di colpa”
“Vaf****lo!”
“O.K. non esattamente il tipo di esultanza che mi aspettavo, ma va bene lo stesso”
Ma perché in questa equazione ero risultato io lo stronzo? Solo perché mi stavo ribellando a questa soffocante e lenta morte. Eppure, anelavo più sentimenti di quanto lei pensasse. Io, dopotutto le stavo dando la libertà pur sapendo che lei mi sarebbe mancata. Le stavo dicendo:”Vai! Non perdere tempo con me. Non perdere tempo a guardare il mondo attraverso il tubo catodico. Vivilo ‘sto cazz@ di mondo. Fottitene di sposarti col velo ed avere 2.5 figli. Vuoi una festa con il velo? Vatti a fare un’altra prima comunione. Sempre meglio di sposarti per vivere lo stesso giorno per il resto della tua vita. Prendi quei due lembi di gambe cellulitiche che ti sono rimaste e corri!”
Ma lei non avrebbe corso. Si sarebbe trovata un altro, si sarebbe convinta di amarlo e poi appena avrebbe avuto una mezza certezza che lui contraccambiava i sentimenti, gli avrebbe chiesto di cambiare; Radicalmente. Lui avrebbe finto di cambiare, tanto per riuscire a tollerarla,un giorno in più, un anno in più, fino a che avrebbero usato così tutto il resto della loro vita. Tutto questo nel nome dell’amore.
“I codardi scappano!” mi disse lei, con uno sguardo di disdegno che cercava di sfidare la mia calma.
“Si, hai ragione, i codardi scappano. Ma anche le persone dentro un palazzo in fiamme, scappano. E quest’ultimi non li chiamerei codardi…ma solo…poveri disgraziati in cerca di ossigeno.”