mercoledì 27 dicembre 2006

Piccoli avvenimenti che possono portare al riconoscimento di una presenza malefica, proprio dentro il tuo salotto



Fui molto contento, oggi, quando, rovistando cose vecchie in una bancarella, trovai lo spartito del Cello Concerto di Khachaturian … sconoscevo pure l’esistenza di questo spartito…eppure era lì, come nuovo…pronto per essere suonato! Senza esitazione, lo comprai. Lo portai fin dentro casa.
Fremevo all’idea di poter vedere come aveva disposto quelle note, in modo uguale, su sette righe, eppure ognuna diversa. I miei polpastrelli già anticipavano con piacere la ruvidezza delle corde, durante il pizzicato.
Ma ahimè … un foglio inaspettato cadde sul pavimento! Era una pubblicità antica, che qualcuno aveva ritagliato e conservato dentro lo spartito con tanta cura, cosicché io, un giorno, quando finalmente l’avrei trovata avrei potuto… URLARE: “MAPORCAMIGN@TTA’STOCAZ%ODINANOE’DAPPERTUTTO!!!!!!!!!”

I miei polpastrelli non conobbero mai il piacere del pizzicato.

mercoledì 20 dicembre 2006

Un Babbo Natale d’Indicazione GENEALOGICA tipica

Questo non doveva essere il post di oggi, ma è appena successo e lo volevo condividere con tutti voi.

Squilla il telefono, è mio fratello.
“Stè, percaso che c’avresti ‘na maglietta rossa?”
“hmm...non lo so, perché?”
“gli serve a Lorenzo per la recita di Natale, noi pensavamo d’averla…ma è troppo piccola, gli serve grande perché ci metteranno i cuscini per fare la pancia.”
“Si penso che ‘na maglietta rossa te la posso procurare…anche se ultimamente le magliette scarseggiano a casa mia (v. infra Il mistero delle magliette scomparse)”
“A proposito…ma tu ci devi venire alla recita?”
“A che ora è?”
“Alle 4:30”
“Si, un salto lo posso fare”
“Senti allora Lorenzo lo lascio a casa tua, lo fai mangiare, e poi lo porti alla recita…vabene? ci vediamo là?”
“O.K.”
“Non fare che me lo fai arrivare in ritardo alla recita!!!!”
“No…no…non ti preoccupare…alle 4:15 al massimo saremo là”

Alle 3:00, mentre mi preparavo, gli dissi “Lorè…guarda in quel cassetto, che sicuramente ‘na maglietta rossa la trovi”
Lorenzo trova la maglietta rossa, senza alcun tipo di problema, e tutti e due felici e contenti ci avviamo verso scuola, in anticipo come promesso. Appena arrivati, Lorenzo raggiunge i suoi compagnetti, come da copione, e io prendo il mio posto nell’auditorium assieme a tutta la mia famiglia sovraeccitata dall’evento, come se fosse la prima dell’AIDA alla Scala.
Apparentemente la parte di Lorenzo è la più importante, perchè deve fare la parte di Babbo Natale.
“Appena si aprirà il sipario, Lorenzo dirà la sua filastrocca e poi tutto il resto seguirà.” Mi spiega Eleonora.
Si spengono le luci.
Ecco il momento tanto aspettato.
Una maestra accende una di quelle luci blu….quelle che fanno vedere agli altri se a casa tua c’è la polvere o se hai la forfora.
Si apre il sipario.
Si vede una sagoma nera, apparentemente quella di Lorenzo. Ma è buio pesto…quindi non ne sono sicuro. Noto, però, che la luce blu sta facendo apparire una scritta sul torso di Babbo Natale. Strizzo un po’ gli occhi per vedere che dice. A lettere cubitali, sulla maglietta, si legge VINITALY.
Un boato!!!!
Adesso sono sicuro che è Lorenzo.
“Ma che cazz@ gli hai dato la maglietta di Vinitaly???? Ma ‘n’altra non l’avevi???”
“M’hai detto rossa!…la maglietta doveva essere rossa!…Rossa e XL! Non hai specificato nient’altro”
“Il rosso io non lo vedo!….Vedo solo un VINITALY grande quanto l’insegna della Pirelli”
“Non prendertela con me!… prenditela con la maestra…che ha spento le luci e acceso ‘sto cazz@ di luce blu”
Si sente un forte “shhhhhh!!!!” e poi un “E su, eh! È Natale…fateve du goccetti … e fatela finita!”
Silenzio imbarazzante
“Sei sempre il solito! Non si può mai contare su di te!” mormora Fabrizio.
C’è una pausa.
“A’ Fabrì…guarda che c’hai la forfora!”

sabato 16 dicembre 2006

…vagliami il lungo studio e ‘l grande amore, che m’ha fatto googlare lo tuo nome: Un raccontino

Emilio, prese il numeretto e aspettò il suo turno.
“386” gridò la commessa.
“si…vorrei due panini”
“di questi con i semi?”
“si … grazie”
“Altro?”
“no…grazie”
“paghi alla cassa”
Fu mentre si girò per andare alla cassa che lo vide. Era passato molto tempo ma lo riconobbe subito. Non era cambiato per niente. Con il braccio avvolto alla vita di una bellissima donna, rideva con denti bianchi e un morso odontotecnicamente perfetto. La stessa tracotanza di sempre lo distingueva da una massa di individui inosservabili. A lui tutto era permesso. A lui tutto era dovuto. A lui tutto veniva perdonato.
Non comprava mafaldine, lui. Nel suo cestino, ordinatamente disposte, stavano due bottiglie di prosecco, delle vongole veraci, e delle fragole fuori stagione. E anche alla cassa, la ragazza, che di solito non guardava nessuno, gli sorrise mentre delicatamente gli porgeva la ricevuta da firmare.

“Signore, guardi che ‘sta cassa ha chiuso!…Signò!!! E che famo!!! Sta lì impalato!” Esclamò la cassiera.
Emilio scosse la testa. “Si, mi scusi ero soprappensiero…diceva?”
“’Sta cassa …. E’ chiusa, deve annare all’artra!”
Emilio si girò e vide che la fila all’altra cassa era interminabile.
“Ma ho solo due panini!”
“E io c’ho d’annare a casa!”
Silenziosamente Emilio si mise in fila e aspettò il suo turno.
Arrivato a casa, scaldò la minestra di lenticchie che era avanzata dal giorno prima e accese la televisione. Mentre mangiava fece un po’ il resoconto del giorno. Al catasto non era andata malissimo. La macchina stava dando problemi. C’erano delle bollette ancora da pagare. Poi, senza nemmeno rendersene conto, il pensiero andò all’incontro.
“Perché?…” Pensò Emilio.
Si mise al computer, come ogni sera, ma questa sera invece di accedere ai suoi soliti siti e scaricare foto di ragazze in atteggiamenti pruriginosi, andò su google, e con mani tremanti, le cui dita erano consumate dalla psoriasi, lentamente digitò il nome:Giorgio Travezzi.
Emilio non credeva ai suoi occhi; 834 siti contenevano questo nome. Li controllò uno ad uno. I suoi occhi, si muovevano velocemente soffermandosi a tratti sulle parole che gli creavano una sorta di ira sorda: Dirigente, Multinazionale, Donne, Yacht, Premio, Modelle, Lusso, Riconoscimenti, etc. Le foto, trovate qua e là, facilitavano la ricostruzione di una vita perfetta. Emilio fu assalito da un sentimento che non seppe più riconoscere e decise di spegnere il computer.
Quella notte non riuscì a chiudere occhio.
In mattinata, intorno all’alba, invaso da dubbi e domande, ritornò al computer, lo riaccese e con in mano la foto di gruppo fatta alle medie, cominciò a digitare una raffica di nomi.
Alessi Roberto, Reperti Antonio, Florio Carmen, Bisicchia Evelina, Tranà Sergio ….
Scoprì così, che il futuro predestinato a quei volti sorridenti e rubicondi era stato molto diverso dalla vita che era toccata a lui. Lesse parole come, Senatrice, Concertista, Scienziato, Tronista, Magistrato…
Cosa era successo? Dove aveva sbagliato? A scuola era sempre stato uno fra i primi.
Cominciò a piangere, e preso da un raptus violento cominciò a vituperare contro Dio …

Decise così che quella Domenica non sarebbe andato a messa.

giovedì 14 dicembre 2006

14 Dicembre: Concessa l’indulgenza plenaria a tutti i lettori del neo_scapigliato.

Anche se non si direbbe… è passato già un mese!
Oggi, 14 Dicembre, io e il mio blog compiamo il primo mese on-line!
Come tutte le mie cose, pensavo, che l’entusiasmo del blog sarebbe svanito dopo un paio di settimane; mi sbagliavo!
Comunque, il merito va più a voi che a me, perché con i vostri commenti e le vostre emails avete mantenuto alto il mio senso di dovere come blogger, nonché il mio spirito di pseudo-artista (non so come ho osato definirmi tale, ma oggi è il mio complemese e mi posso permettere “quasi” tutto.)

Volevo ringraziare soprattutto tre persone:

- Gigi “parolibero”(da cui ho tratto l’ispirazione iniziale di cominciare un blog, e che ha anche scritto un racconto che, violentemente, si è fatto posto fra i miei preferiti e cioè: “L’incredibile anno del Subbuteo”… anzi invito tutti a leggerlo, e a mandare un’email di lamentele a ScrittoMisto per non averlo pubblicato. Clicckate sul link parolibero e avrete tutte le informazioni che vi servono)
- Gianluca “né arte né parte” (per essere stato un impavido lettore, e per aver sempre capito il vero senso di quello che ho scritto. Poi, perché è un critico esemplare, e soprattutto un grandissimo artista… anzi, vedi di sistemare quel problema con i commenti, prima che chiamo Blogger e comincio ad urlare!!! E una volta che comincio, non mi potrà fermare più nessuno)
- Last but not least (scusate, mi pare che sia intraducibile) Diego di "Diego D'andrea", il cui impeccabile stile di composizione, provoca in me un livello di invidia (penso sia del tipo forza 8), chè quasi mi sento Antonio Salieri quando lo leggo; Invidia (sottolineiamo di indole buona) che fortunatamente mi sprona a sedermi qui, ogni giorno, pur sapendo che neanche in mille anni riuscirò ad emulare le sue così perfette connessioni lessicali.

Ringrazio, inoltre tutti quelli che hanno mai lasciato/che lasciano/o che lasceranno in futuro, qualsiasi tipo di commento.
Ringrazio i timidi che leggono senza lasciare nessun commento.
Ringrazio chiunque abbia mai clicckato, anche se per solo sbaglio, questo blog.
E per finire, ringrazio “la topolina” che fa finta di non leggermi, ma che ogni tanto passa pure lei a fare visita (l’ho saputo … e basta!): te l’avevo detto che con me non sarebbe stato facile … ma se ci pensi, chi cazz@ vuole le cose facili? Solo i deboli! Comunque, credimi, un giorno mi ringrazierai … e goditelo ‘sto cazz@ di otto volante … è la cosa più divertente in tutto il luna park!

P.S. Non vi abituate a questi momenti di bontà perché, col passare del tempo, diventano sempre più rari.

E poi non ditemi che non ho ragione, quando dico che:

Trovo che l’incomunicabilità sia una cosa stupenda,
perché ci fa soffrire tutti allo stesso modo
e ci obbliga a tirare fuori il meglio e il peggio di noi stessi,
nel vano tentativo di giustificare tutte le nostre caz%ate.


Il vostro,
neo_scapigliato

mercoledì 13 dicembre 2006

Estate violenta

INTER NOS

Eccoti la spiegazione che mi hai chiesto.

L’irresistibile e ormai indispensabile necessità di illuminare l’ovvio.

Mio nipote è arrivato con in mano un tema che aveva fatto a scuola. Il titolo era, parla della tua famiglia. Lo svolgimento era all’incirca questo:

Ho un papà. Mio papà si chiama Maurizio ed è nato a Trieste nel 1965. E’ Maschio. Ho pure una mamma che si chiama Eleonora, è nata a Vicenza nel 1968. E’ femmina.

Ai giorni d’oggi niente è scontato.

martedì 12 dicembre 2006

L’aspirazione di arricchire un’inutile giornata con le illustrazioni di mostri.

Mi sveglio. Il cellulare sembra ansioso di cominciare la giornata; vibra e saltella mentre gracchia la sigla di Mr. Magoo. Io non ho proprio voglia. Cazz@! Maledico i buoni propositi della sera prima che mi hanno fatto posizionare il perfido aggeggio lontano apposta cosicchè mi alzassi. Lo lascio suonare, si stancherà prima o poi. Mi stanco prima io. Mi alzo. Mi fumo una sigaretta. Scendo al bar a prendere il solito cappuccino con brioche e due pacchetti di Lucky Strike. Rientro. La gatta ha dormito di nuovo d’avanti la porta, c’è puzza di piscio. Mi svesto e mi faccio una doccia. Mi rivesto. Impongo ai miei capelli la presenza di ben tre prodotti differenti, poi prendo il violoncello e provo la 6° suite di Bach. Franz Listz aveva la caparbietà di provare per 14 ore di fila. Dopo la seconda ora decido di mollare; C’è un motivo perché mi chiamo von Hauser e non Liszt. Leggo un paio di blogs. Accendo la televisione. Guardo Il giardiniere sul 118. Mangio. Leggo altri blogs. Blackwolf ha scritto il post dei vaf*ancul@. Penso a quante persone vorrei mandare a fare’ncul@. Lascio un commento, ma decisamente limito la mia lista, non vorrei sembrare troppo negativo. Ci tengo a quello che pensa, la gente, di me. Scendo al bar a prendermi un caffè. Il barista parla della Lazio. Ascolto. Rientro a casa. Controllo la posta. Sono arrivate le carte del divorzio. Le leggo. Vado a dormire. Mi sveglio. Controllo email. Rispondo email. Mia sorella chiama. Cazz@! “Tuo fratello vorrebbe che tu andassi a mangiare a casa sua stasera.” “Scusa ma allora perché non mi chiama lui?” “Perché voleva che mi assicurassi che tu ci saresti andato” “Dieci anni di analisi a testa non vi farebbero male!”. Finalmente, riesco a chiudere. Lascio un commento su né arte né parte. Il suo post è stato grande oggi, parlava di toppe. Esco. Vado da Mondo Arancina a mangiarmi un’arancina…Odio il fatto che lì, i supplì li chiamano arancine e non arancini (come li chiamava mia nonna). Penso al commento di Diego che mi ha detto “arancine tutta la vita!” cerco di immaginare come sarebbe la mia vita se potessi mangiare solo arancini. Sono in estasi. Dopo il secondo arancino, però, l'idea non mi entusiasma più. Vado alla Mondadori dietro l’angolo. Guardo la sezione degli Adelphi. Non trovo giusto che la Mondadori venda i libri di Sàndor Màrai. Che si limitasse a vendere il Codice da Vinci. Compro tutti i libri di Marài. Cammino a piedi. Mi fermo d’avanti un negozio di cose elettriche. In vetrina hanno un lampadario impolverato. Entro. “Salve, cosa stava cercando?” “Un lampadario” “Per che tipo di stanza?” “Non lo so!” “Non sa dove dovrebbe andare?” “No!…voglio quel lampadario là fuori” Il commesso ha l’aria perplessa. “Devo fare un regalo”; l’aria del commesso non si ristabilisce. “Allora ha deciso, per quello esposto in vetrina?” “Si, me lo può incartare?” “Di solito non incartiamo lampadari” “O.K. allora me lo porto così com’è”. Esco per la strada con l’enorme lampadario in mano. Ho l’aria gratificata. Penso, con un lampadario in mano, le persone che mi guardano, potrebbero avere l’impressione che ho finalmente qualcosa da fare. Forse, anche qualcosa di importante; ma non mi sovvengono esempi di cose importanti che coinvolgono l’uso di un lampadario. Ricevo la chiamata di mio fratello che m’invita a casa sua. Ci vado. La solita finta accoglienza d’avanti la porta. “Ma che hai lì?” “un regalo” “ma noi non abbiamo bisogno di un lampadario” “beh, questo lo dici tu!” rispondo io. Mia cognata mormora nell’altra stanza. Mangiamo. Saluto e me ne vado. Raggiungo il Franco e Bruschetta all’Irish Pub, situato all’EUR. Non mi sento come se fossi in Irlanda. Eppure è tutto così preciso. Poi, mettono il cd di Laura Pausini. Ora mi sento decisamente in Irlanda. Mi tiro le pellicine delle dita. Esce del sangue. Due ragazze entrano. Una è un cesso, l’altra un cesso e mezzo. Franco dice che una si potrebbe fare, ma solo a luci spente, l’altra manco se lo pagassero. Bruschetta non parla ma ride; l'altro suo soprannome è il Cozzaro Nero, va da se che se le farebbe tutte e due. Il cesso e mezzo ha una maglietta con la scritta LOVE. Penso: l’amore su una maglietta è il massimo a cui tu possa aspirare. Mi dimentico però che i pensieri a volte si posso leggere nell’espressione di un viso. Stavolta ho deciso di fregarmene. Mi chiedo come Dio può lasciare accadere cose del genere. La nascita di repellenti creature. Che prima vanno alla UPIM a comprare vestiti e trucchi, e poi a rimorchiare nei pub. BASTA! Non mi sento più in Irlanda. Dovevo fermarmi alla settima birra. L’undicesima la sto cominciando a sentire. Vado a casa. Scrivo questo post. Lo pubblico prima che me ne pento. In qualche modo è confortevole sapere che domani farò esattamente le stesse cose.

lunedì 11 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

PARTE TERZA E ULTIMA

“Noto con piacere che non sei per niente cambiato” disse Lilian mentre mi baciava sulla guancia.
“Vorresti forse dire che il tempo è stato particolarmente clemente con la mia persona?”
“Beh, veramente mi stavo riferendo più alla tua sempiterna avversione nei confronti del genere umano, cioè, stai lì da solo con uno sguardo di disdegno mentre ti affoghi di birra…”
“Si! Va bene…la misantropia blah blah blah, ma come mi stai trovando …attraente come sempre?”
Si mise a ridere: “Oh, l’ostentata vanità…nemmeno quella è cambiata!”
“Hey! La vanità è una virtù, se ostentata con stile”
Mi guardò negli occhi e mi disse: “Stefan, mi fa davvero piacere rivederti, mi sei mancato! Riesci sempre a mettermi di buon umore.”
“Ma dimmi… la tua dolce metà? A casa?”
“Si è a casa…E’ buffo! Quando gli ho chiesto se voleva venire mi ha risposto che non sarebbe venuto perché Marco, Clara e tutta la combriccola gli fanno puzza di proletariato.”
“ovviamente non era al corrente del fatto che ci sarei stato io a ripulire il tanfo con il mio snobismo aristocratico”
“Si, infatti…non era al corrente della tua presenza, altrimenti non sarei potuta venire neanche io”
“E perché?”
“Perché…perché…” si soffermò un po’, sbuffò e guardando altrove mormorò un “non lo so, perché!”
Ma lei lo sapeva. E adesso lo sapevo anch’io.
Conoscevo quello sguardo evasivo, quel soffio emesso con forza, quel respiro inquieto che cerca disperatamente di liberarsi, erano sintomi che avevo già visto prima, ogni volta che una storia stava per finire. Ma stavolta, c’era una rassegnazione in quegli occhi, celata dietro ciglia eccessivamente truccate.
“Allora continuerai a startene da solo qui in un angolo per la tutta la durata della festa?”
“No veramente stavo pensando di uscire a fumarmi una sigaretta”
“Si, in effetti c’è un po’ di caldo”
Sul balcone, dopo aver acceso la sigaretta, fra sguardi ammiccanti e loquaci momenti di silenzio, trovammo finalmente la complicità di sempre. Ad un tratto, Lilian si guardò attorno, come per vedere se ci fosse qualcuno che la potesse vedere, poi mi disse “fammi fare un tiro!” mi afferrò la mano e avvicinò la bocca. Le mie dita sfiorarono lievemente le sue labbra, mentre la sua mano stringeva con forza il mio polso. Smarrito fra i suoi lineamenti nordici, il suo collo incorniciato da capelli biondi, sottili, che odoravano di camomilla, allontanai bruscamente il mio torso che si stava a poco a poco appoggiando al suo.
“questo mi sembra un deja-vù di quando ci nascondevamo a fumare dietro il muro della chiesa.”
“Gia!” disse lei mentre si sventolava il fumo dal viso.
“Penso che a questa età, una sigaretta, te la potresti fumare senza che nessuno ti dica niente.”
Fece un movimento strano con le labbra, lo stesso movimento che fanno le ragazze dopo aver applicato il rossetto. Poi mi disse: “Ho smesso di fumare! Faccio un tiro qua e là, qualche volta.”
Poi, con un modo di fare deciso mi disse: “Senti mi rompo a stare qua, ti va di fare un giro?”
“C’è bisogno di rispondere?”
“Allora vado a prendere il giaccone”
“Te lo vado a prendere io il giaccone se tu invece vai a parlare con Flavia”
“In che senso?”
“Nel senso che…sono venuto in macchina con lei, non so quanto le possa fare piacere se adesso me ne vado con te”
“Beh, allora esci senza farti vedere, anzi farò la stessa cosa anch’io…lo sai com’è, adesso sono una donna sposata.”
“Potremmo uscire dal retro”
“O.K. vado a prendere il giaccone e ci vediamo fuori.”
L’anticipazione di quello che sarebbe potuto accadere mi stava uccidendo. Appena uscito dal portoncino sul retro, con le mani tremanti e il fiato corto, accesi un’altra sigaretta. Lilian arrivò dall’altro lato della strada; era uscita dalla porta principale.
“Ma che hai fatto, pensavo che fossi uscita anche tu come una ladra dal portone sul retro?”
“No, Olga mi ha visto, le ho detto che avevi un fortissimo mal di testa e che ti stavo accompagnando a casa.”
Ci infilammo in macchina e accese i riscaldamenti. Poi mentre gli Hall & Oates cantavano “I can’t go for that” ci avviammo per vie inesplorate.
“Avrei voluto chiamarti…ci sono state molte volte…che…”
“Perché non l’hai fatto?” le risposi.
Con un fermaglio fra i denti, le mani che ricomponevano i capelli e il piede sull’acceleratore mi rispose :”Non potevo! Comunque volevo che tu sapessi che per me nulla è mai cambiato e che, pensare a te, nei momenti di totale depressione, mi ha sempre aiutata.”
“Mi fa piacere”
“E per te?”
“Per me, cosa?”
“E’ cambiato qualcosa?”
Aspettai per rispondere; Odio l’idea di concedermi così facilmente. Ma alla fine la rassicurai dicendole che nulla era cambiato.
Così fermò la macchina, mi cominciò a toccare i capelli e con tono imperativo mi disse: “non fare nessuna domanda, non pensare, chiudi gli occhi e baciami!”
Sembrava sapesse quello che stava facendo, così la seguii.
La passione aveva avuto un’imperdonabile negligenza nei miei confronti ultimamente, ma in quel istante era riapparsa incendiando letteralmente la mia coscienza.
Finalmente, con il solo tatto riuscivo a colmare quell’ormai troppo diffuso vuoto interiore. Questo momento, l’avevo desiderato ormai per troppo tempo, non l’avrei rovinato con pensieri, riflessioni, considerazioni, rimorsi o perplessità . Nel mondo, per quanto mi riguardava, esistevano solo il mio corpo e il suo corpo; nient’altro. Non c’era nemmeno più bisogno di parole.
Ma, una parola ci fu; Purtroppo!
All’acme della passione, Lilian sussurrò: “Si, dai….smucinami così…non ti fermare!”
“AHHHHHHH?????????”
Smucinami! Aveva detto davvero SMUCINAMI? Il verbo smucinare evocava in me il ricordo di numeri di tombola e mani che rovistavano in un sacchetto. Avevo lasciato per un paio d’anni un’amante del romanticismo Inglese, e mi ero ritrovato con una che mi parlava come se stesse facendo uno spot per un telefono erotic@? In quell’istante mi resi conto di aver perso anni ad inventare una storia romantica con la persona sbagliata.
Con uno sguardo di disgusto misto orrore, subentrato alla sua richiesta di smucinamento, potei solo dirle: “Stiamo facendo uno sbaglio… forse e meglio che ritorni da tuo marito.”

domenica 10 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

PARTE SECONDA

Subdolamente cercai di capire se nel corso di questo party infame, Lilian ci avrebbe graziato con la sua presenza. Esisteva un barlume di possibilità. Quindi, comunicai a Flavia la mia intenzione di partecipare alle festività, la cui, posseduta da chissà quale tipo di demenza temporanea, improvvisò un tristissimo gesto di vittoria.
In macchina, Flavia mi chiese se quella sera avrei dormito a casa sua. Sbigottito dalla proposta (vedi post La spietata dinamica del Twist, infra) risposi di essere incerto riguardo gli eventi che avrebbero preso luogo quella sera. Arguii che la demenza di Flavia non era temporanea.
Fui piacevolmente colpito dall’organizzazione del party. Marco e sua moglie Clara avevano soverchiato qualsiasi mia aspettativa di squallore. C’era il banchetto appoggiato al muro, tovagliato di bianco, con in mezzo una cofana di patatine, due ciotole di party mix (gli stuzzichini che nessuno ha mai mangiato) e diagonalmente disposte, su di un lato, c’erano due bottiglie di Coca Cola e una torretta di bicchieri di carta, sul lato opposto della tavola si trovavano invece due bottiglie di Birra Poretti, accostati anch’essi ad un’altra torretta di bicchieri di carta.
Travolto da questa dovizia di vivande, mi tuffai sulla birra Poretti.
“Non vorrei sbagliarmi…ma i bicchieri di carta, posizionati così vicini alle bottiglie, forse, volevano dare l’impressione che tutti potessero avere in usufrutto un’equa porzione di birra Poretti, la presenza dei bicchieri, inoltre, garantiva che la birra sarebbe stata priva di particelle salivari …indi per cui, non credo che a te toccasse una bottiglia intera, né credo che gli intrattenitori siamo particolarmente estasiati dalla vista di te che bevi dalla bottiglia.” Disse Flavia.
“Beh, ho pensato che prima o poi stasera avreste avuto bisogno di una bottiglia vuota per fare i vostri giochini …Cazz@! Clara ci ha puntati, si sta dirigendo verso di noi!“
“Toh! Guarda, c’è Mauro, io vado a salutarlo.” Esclamò Flavia mentre mi abbandonava come un cane su un’autostrada.
Mi ricordai che da piccolo, dopo essere stato circondato da un gruppo di cani randagi, la signora Gina, la panettiera per intenderci, mi disse che semmai qualche cane mi avesse dato fastidio un'altra volta, sarebbe bastato solo ripetere per tre volte “San Vito chiamati il cane” e il cane o i cani avrebbero, immediatamente, cambiato rotta. Rivolgendomi a Dio, pregai per la temporanea estensione della giurisdizione di San Vito affinchè includesse anche altri tipi di compagnia indesiderata.
Ma come al solito, Dio fu fiscale, perché Clara continuò ad avanzare verso di me.
Non un solo minuto della conversazione che seguì la mia invocazione, fu annotato nella mia coscienza; Dicono, in effetti, che Dio operi in modi misteriosi. Il miracolo comunque avvenne mezz’ora dopo, quando Clara venne chiamata in cucina, ed io attraverso gli occhi ormai appannati dalle lacrime che si erano cristallizzate durante il monologo di Clara, vidi Lilian entrare timidamente con una bottiglia, incartata con tanto di fiocco, in mano. Il suo nome echeggiò e come una povera martire venne subito circondata da Filistei pronti a renderla soggetto della loro mentalità meschina e conformista; capii che dovevo aspettare il mio turno. Aprii l’altra bottiglia di Poretti e senza che me ne accorgessi mi trovai a cantare, appoggiato al muro con lo sguardo che vagava nel vuoto, la canzone che stava suonando in quel momento; State of the Nation degli Industry (il cd era 80s revival, che quasi mi sentivo in uno di quei film con Molly Ringwald e Andrew McCarthy; l’unica differenza era che noi non eravamo esattamente adolescenti ingenui ma trentenni provati e frustrati). Fu proprio durante la doppia voce che fa “a message from the telephoooone” e “I’m waiting for the chance to come home” che mi accorsi che Lilian mi stava osservando e arrossii, il che la fece ridere. E questa fu cosa buona, perché mi gesticolò di aspettare. Un minuto dopo, con molta grazia riuscì a congedarsi dagli scellerati interlocutori e venne incontro a me. In quel momento, la canzone “nel sole” di Albano suonava … nella mia testa.
(...)

giovedì 7 dicembre 2006

Preso orribilmente a sganascioni dal mutamento di usi e costumi dopo aver raggiunto l’acme della passione.

Le avevo espressamente chiesto di non venire. Ma come al solito Flavia non mi ascoltò. Così alle 8:00 in punto, Flavia era sfacciatamente seduta sulla poltrona del salotto di mia madre, cercando disperatamente di convincermi ad uscire.
“Dai! ci saranno tutti! Vedrai che ti divertirai. Ne sono sicura!”
“ Quando dici frasi del genere mi rendo conto di quanto poco mi conosci. Dammi un motivo valido, perché dovrei, con le mie stesse mani, infliggere sulla mia persona questa sevizia, andandomi ad infilare a casa del Marco per socializzare con gente che mi sono addirittura dimenticato di odiare, ormai da anni.”
“Almeno fai qualcosa e non stai chiuso qua dentro come un'eremita.”
“Faccio qualcosa? Che cosa? Ricominciare ad odiare questa gente, non mi sembra un opzione così tanto allettante. No, grazie, c’è ben altro che potrei fare con il mio tempo. Sai, adesso ho il mio blog…” La notizia passò inosservata.
“Tutti mi hanno chiesto di te, sanno che sei tornato e ti vogliono vedere. Che male c’è? Vai li, ti bevi qualcosa, saluti e te ne vai.”

Era la solita storia. Ogni anno. Ma la cosa che odiavo di più, era il fatto che queste riunioni non erano fatte per il piacere di rivederci. No, quello lo cominci a perdere dopo i vent’anni. Il motivo latente che pilotava queste riunioni era la curiosità morbosa di confrontarsi con la vita degli altri. Erano occasioni per vedere in che posto stavi nella graduatoria dei successi e dei fallimenti.

Per le donne i successi, quasi sempre, venivano imboccati con l'uso dei messaggi subliminali, o, in alternativa, come se fossero cose di cui lamentarsi. “Seby quest’anno ha comprato il Mercedes classe G, ma sai, con i tempi che corrono …” oppure “Cara, le tre crociere dell'anno scorso, mi hanno massacrata, io di sicuro indosserò le pantofole almeno per altri due anni...Anche se lo dico ogni anno e non lo faccio mai!” Fortunatamente, gli uomini, sono più diretti: “Cazz@, l’anno scorso ho comprato delle azioni che quest’anno stanno spaccando il cul@ ai soldi”. Cosa si potrebbe dire mai davanti a cotanta trasparenza.

“A proposito di gente che mi ha chiesto di te, ho visto Lilian, l’altro giorno.” Disse Flavia all'improvviso.
Adesso il discorso sembrava interessarmi, perché alla sola menzione del nome Lilian, fui istantaneamente colpito da un rapido acceleramento dei battiti cardiaci.
“Lilian?”
“Si è tornata pure lei. Il marito è stato trasferito. Hanno due bambine, le ho viste l’altro giorno, sono molto carine assomigliano tutte a lei, tranne la grande che c’ha il capoccione come il padre.”

So che in questo momento state mettendo in dubbio la mia spiccata moralità, ma non è assolutamente come sembra.

Io e Lilian ci conoscemmo negli anni quando una cotta faceva male; Male sul serio. Quando il cuore batteva veramente, e pareva che si spaccasse quando ad un appuntamento lei, per caso, ritardava ad arrivare. Quando al solo pensiero che avrebbe chiamato, ti mancava il fiato. Noi c’eravamo amati veramente e totalmente dal primo giorno. Lei dice che fu dopo che mi sentì parlare del suicidio del Werther che si innamorò, ma questa affermazione è opinabile. Sentimentalmente eravamo cresciuti assieme. Precocemente, avevamo raggiunto una maturità la cui aspettativa rovinò tutte le storie d’amore che seguirono. Io abitavo negli USA e tornavo solo d’estate e a Natale, così di comune accordo decidemmo di avere le nostre storie quando eravamo distanti; ma mi pregò di non parlarne mai. Dopo la maturità, Lilian si trasferì rendendo ancora più difficile il prolungamento della storia. Cercò molte volte di farmi capire che se io le avessi chiesto di seguirmi negli USA, lei lo avrebbe fatto. Ma io non mi sentivo ancora pronto. Quando finalmente mi decisi, lei aveva già conosciuto il futuro marito e stava andando a convivere. Moltissime volte negli ultimi anni, mi ero ritrovato a pensare a lei, e a come sembrava essere stata la persona più pura che avessi mai conosciuto. Immancabilmente, ogni volta che una relazione finiva, scoraggiato dal rolodex di nomi dimenticabili che si affastellavano confusamente l'uno sopra l'altro e dall'indifferenza che ormai sembrava esser diventata il minimo comune multiplo di tutte le mie storie, il mio pensiero andava a Lilian; l'unica ragazza che mi capì e che mi amò esattamente come volevo essere amato.

Di conseguenza mi venne molto difficile capire perché fra tanta gente lei avesse scelto lui. Lilian amava recitare le poesie di Shelley e Keats. Quando dormivo,scriveva frasi sulla mia schiena, che mi toccava leggere una volta a casa con l’aiuto dello specchio del bagno. Amava gli epigrammi che io scrivevo riguardo i suoi polsi gracili e bianchi. Quindi, per favore, spiegatemi che cazz@ chi faceva ora con un odontotecnico che si spacciava per dentista, che ha l'elegantissima abitudine, quando esce fuori, di chiamare il cameriere alzando la mano con un biglietto di €100 piegato fra l’indice e il medio, che ritira scherzosamente quando il ragazzo arriva. Che cazz@ ne può sapere mai, un tipo come questo di Chateaubriand?

E’ inutile dirvi che decisi di andare.

mercoledì 6 dicembre 2006

Il Mesto epilogo di Via Panisperna

I neutroni lenti si sono trasformati in neuroni lenti.
Trovo ironico che seduto, proprio come me, solo un po’ più in là
Fermi formulò la teoria del decadimento beta.
Il mio non è proprio beta, è solo decadimento.
“Sollevati contro l’oppressore.” Qualcuno dice.
“I desideri sono solo frustrazioni” Qualcuno continua.
Sono ispirato, ma non dura; Perchè odio il patetismo e i tre scalini c’ha la birra cruda oggi.
Comportamento e parole elusive, diceva mio papà.
“Fratelli! La rivoluzione si farà. Domani, ma si farà!…Si, Ma non svegliatemi presto. Vi chiamo io...sul tardi!”

martedì 5 dicembre 2006

Un’inevitabile esperienza traumatica, tuttavia formativa, durante un San Patrizio, che altrimenti sarebbe passato inosservato.

Appena entrai nel suo ufficio, Anita Braxten, mi guardò dall’alto in basso e mi disse:”Abbiamo preso in visione il suo curriculum, e siamo stati piacevolmente colpiti dalle sue credenziali, la mia assistente ha già contattato lo Stage Coordinator del suo college riguardo i crediti accademici che lei riceverà se dovesse essere scelto per lo stage. Stiamo comunque considerando altri candidati, quindi le dovrò fare qualche domanda.” Io rimasi ritto ad ascoltare. Annuivo con la testa di tanto in tanto, tanto per dare l'idea di essere vivo durante questo monologo. Con acuta avvedutezza, comunque, mi assicurai che non una sola parola uscisse dalla mia bocca.
“Volevo sapere se poteva farmi lo spelling e darmi la definizione esatta della parola INEVITABLENESS?”
Trovai il tutto un po’ insolito, ma risposi lo stesso. “I-N-E-V-I-T-A-B-L-E-N-E-S-S : l’incapacità di evitare o evadere qualcosa il cui avvenimento è certo o pressochè sicuro di accadere nei momenti meno opportuni”
Senza nemmeno alzare lo sguardo dal mio curriculum, Mrs. Braxten, mi disse “Perfetto. Abbiamo tutte le sue informazioni, la mia assistente, July le mostrerà la via d’uscita.”
“Cazz@!” pensai. “Forse non avrei dovuto aggiungere quel pressoché sicuro di accadere nei momenti meno opportuni. Devo sempre strafare. Se non mi offrono lo stage sono praticamente fottuto!”
Ma fortunatamente lo stage mi fu offerto, lo stesso giorno. Appena arrivai a casa, July aveva già lasciato un messaggio sulla segreteria facendomi sapere quando mi sarei dovuto presentare in ufficio per cominciare.
“Il lavoro svolto nel nostro dipartimento è molto frenetico. Spero che tu sia stato avvisato riguardo gli orari e le ore di straordinario richieste. Purtroppo, ci saranno molte notti che ci vedranno chiusi qui dentro.” Disse la Braxten, quando mi vide per la seconda volta.
E, in effetti, le notti ci furono. E, esattamente come aveva previsto, ci videro chiusi li dentro, nel suo ufficio. Prima si faceva l’amore, poi mangiavamo del pollo con le mandorle ordinato dal cinese sulla 52esima. Pensai che il pollo fosse non una conseguenza alla congiunzione carnale ma solo una banale coincidenza. Qualche volta, la mattina trovavo sulla mia scrivania, dei piccoli regali incartati sempre con molta attenzione. La maggior parte di volte erano cose di poco conto. Ogni sabato mattina, invece, mi faceva recapitare a casa dei cesti dai vari negozietti di pietanze gastronomiche, considerati ora di moda , che a poco a poco stavano invadendo Manhattan. Ma dei regali non ne parlammo mai.

Il Sabato che marcava la festa di San Patrizio non ricevetti niente. Quella mattina mi svegliai con il peggior attacco d’allergia che avevo avuto in anni. Le farmacie erano chiuse e tutti i miei amici erano andati a vedere la parata. Per disperazione, avevo preso degli antistaminici, che avevo trovato nel fondo di una valigia, i quali, mi accorsi dopo, erano scaduti da almeno due anni. Cominciai, quindi ad avere una reazione che mi causava la vista di aloni verdi rossi e blu. Pregai che queste pillole decadute non avessero MAI alcun effetto deleterio sulla prostata, su cui avevo visto uno special, giorni prima, e ancora non mi ero ripreso dallo shock. Poi cominciai a provare una strana sensazione, che attribuii alla pressione, ora non so se fosse troppo alta o troppo bassa, so solo che mi dovetti sdraiare sul letto con la carta igienica appallottolata dentro le narici, mentre boccheggiavo come un SUB. Sentii bussare con veemenza alla porta. “Ecco l’immancabile cesto sabatino” pensai. Cercai di vestirmi, ma rinunciai celermente all’impresa, tanto avrei aperto con la catenina e avrei detto al portiere di lasciarlo sul pianerottolo. Ma appena aprii l’uscio ricevetti una spinta inaspettata dall’altra parte. Era Anita che gridava “apri, mio Dio, apri!” mentre continuava a spingere. Non riuscivo nemmeno a parlare così gesticolai come per dire “Aspetta, richiudo e apro”. Non feci nemmeno in tempo a togliere la catena che Anita era già entrata, con una valigia che straripava di vestiti e non so che altro. La guardai perplesso, con uno sguardo che attendeva una spiegazione.
“Quel porco schifoso di mio marito! Ho scoperto oggi, che si fa la segretaria.”
La superai mentre stava per entrare in cucina e mi affrettai a stabilire qualche forma di ordine in quella stanza. Riuscii appena a togliere i calzini dal lavandino e a buttarli per terra, quando Anita scoppiò in un pianto isterico. Cercai di abbracciarla, ma trovai la situazione alquanto imbarazzante. Così evitai e mi andai a chiudere nella mia stanza.
Chiamò il marito svariate volte. Una volta lo accusò di impotenza. Un’altra di essere un pervertito. Un’altra volta lo minacciò di divorzio. Poi lo richiamò dicendogli che si sarebbe tolta la vita. Mi affacciai turbato da quest’ultima dichiarazione, ma la trovai seduta mentre cercava di sistemarsi un’unghia che le si era spezzata. Il marito non richiamò. Anita ebbe un'altra crisi di pianto isterico.
Le chiesi se aveva fame. Non avendo niente a casa, le proposi di ordinare del pollo dal cinese. Ma ricevetti una risposta alquanto inaspettata.
“Come puoi pensare al sesso in un momento come questo.” Invaso da una sensazione di confusione mista a disgusto arguii che il pollo non era solo una banale coincidenza, ma decisi di non indagare oltre.
Le minacciose chiamate continuarono. In preda ai tremori, Anita decise di ricorrere all’aiuto divino e al valium. Poi quando finalmente quest’ultimo cominciò a fare effetto, si sdraiò sul mio letto, e mi disse: “Che ci vuoi fare? Anch’io sono una donna!” appoggiò la testa sul cuscino, canticchiò per un po’ la canzone di Top Gun e si addormentò.
Il marito la venne a prendere la stessa sera. Penso che avesse intuito il perché lei avesse scelto il mio appartamento come rifugio, ma non mi chiese niente. Lei, con gli occhi ancora gonfi, mi salutò sorridendo e mi ringraziò. Lui la avvolse con un visone e reggendola scesero per le scale. Sembravano quasi felici.

Appena chiusi la porta, notai con piacere che potevo un’altra volta respirare, l’evento mi aveva fatto dimenticare totalmente la moltitudine di malesseri che mi avevano colpito quella mattina. Decisi così di scendere per strada, con la speranza di godermi gli ultimi momenti delle festività Patriziane al pub del Roscio. La totale desolazione mi attendeva. Vidi una coppia di ubriachi inciampare e cadere su una montagna di immondizia, avevano l'aspetto di chi si fosse davvero divertito. Ma anche io, paradossalmente, ridevo e emettevo un espressione compiaciuta. Il mio giorno di San Patrizio non era assolutamente passato inosservato, e per motivi ancora non ben chiari, in quel momento mi sentivo più adulto.
“Il solito scotch on the rocks?” disse il Roscio.
“Si ma doppio! Oggi voglio festeggiare”
“Festeggiare che cosa? San Patrizio ormai è finito” disse il Roscio ridendo.
“E’ difficile da spiegare…non so perché… ma è come se sapessi che il ricordo di oggi, mi servirà da lezione, in futuro… ”

domenica 3 dicembre 2006

Nell’anno bisestile, il pomeriggio di quel giorno extra, prenderemo, una volta per tutte, una posizione su questa faccenda dell’amore

...di cui si parla tanto!

Dissuaso dalla trama che si prolungava di giorno in giorno, senza eventi che fossero meritevoli di repliche, decisi di fare un inchino, ed uscire con grazia dalle pagine del suo manoscritto.
“Rimarrai sempre uno stronzo” disse lei con uno sguardo di disprezzo.
Grazie a Dio, non avevo previsto nessun cambiamento repentino delle mie caratteristiche personali, di conseguenza, rimanere uno stronzo, non mi avrebbe allontanato da nessun buon proposito.
“Come disse Bruno mentre si scaldava i piedi a Campo de’ Fiori, tremi più tu nel pronunziare questa condanna che io nel riceverla.” Dissi mentre spegnevo la sigaretta.
“L’ho sempre saputo che eri uno stronzo!”
Sarà. Ma non avrei potuto continuare. Non così, non in questa vita. All’inizio pensi sia solo paura, e che ti ci abituerai. Vedi gli altri e pensi:”Pure loro hanno firmato un mutuo di 30 anni, un motivo valido ci sarà?” Ma il mutuo, loro, l’hanno firmato solo perché hanno visto te, pronto a vincolarti con lo stesso mutuo. E si va avanti così. Fino a quando ti ritrovi chiuso in macchina, ritornando dall’ufficio, a pensare: “Dio, che cosa le dirò stasera.” Pensi a qualcosa di divertente, successa in ufficio, forse questo rallegrerà la serata. Ma purtroppo il suo senso d’humor ha seguito passo dopo passo il tuo, e tutti e due gradualmente sono andati a peggiorare. Come i regali a Natale. Ed io non ce la farei a ricevere un’altra cravatta Hermes, quest’anno.
“Posso dedurre, allora, che accoglierai con esultanza le mie dimissioni, senza farmi venire inutili sensi di colpa”
“Vaf****lo!”
“O.K. non esattamente il tipo di esultanza che mi aspettavo, ma va bene lo stesso”
Ma perché in questa equazione ero risultato io lo stronzo? Solo perché mi stavo ribellando a questa soffocante e lenta morte. Eppure, anelavo più sentimenti di quanto lei pensasse. Io, dopotutto le stavo dando la libertà pur sapendo che lei mi sarebbe mancata. Le stavo dicendo:”Vai! Non perdere tempo con me. Non perdere tempo a guardare il mondo attraverso il tubo catodico. Vivilo ‘sto cazz@ di mondo. Fottitene di sposarti col velo ed avere 2.5 figli. Vuoi una festa con il velo? Vatti a fare un’altra prima comunione. Sempre meglio di sposarti per vivere lo stesso giorno per il resto della tua vita. Prendi quei due lembi di gambe cellulitiche che ti sono rimaste e corri!”
Ma lei non avrebbe corso. Si sarebbe trovata un altro, si sarebbe convinta di amarlo e poi appena avrebbe avuto una mezza certezza che lui contraccambiava i sentimenti, gli avrebbe chiesto di cambiare; Radicalmente. Lui avrebbe finto di cambiare, tanto per riuscire a tollerarla,un giorno in più, un anno in più, fino a che avrebbero usato così tutto il resto della loro vita. Tutto questo nel nome dell’amore.
“I codardi scappano!” mi disse lei, con uno sguardo di disdegno che cercava di sfidare la mia calma.
“Si, hai ragione, i codardi scappano. Ma anche le persone dentro un palazzo in fiamme, scappano. E quest’ultimi non li chiamerei codardi…ma solo…poveri disgraziati in cerca di ossigeno.”

giovedì 30 novembre 2006

Il Mistero delle magliette scomparse: Ordini dai leaders UFO, rito d’iniziazione per sette estrogeniche o semplicemente tiro birbone?

Prima o poi, durante un anonimo pomeriggio dedicato al mestiere di lavandaia, ti ritroverai a guardare la cesta colma di mutande, calzini e camicie e ti chiederai che fine hanno fatto tutte le tue magliettine (le T-shirts, per capirci … ma sono sicuro che voi lo sapevate già).
“Eppure avevo i cassetti pieni … quelle della fraternità, quelle dei master di nuoto, quelle dei tornei di calcetto, quelle con le marche di birra, quelle dei Clash, etc. etc.… ma dove saranno andate a finire tutte ‘ste magliette?” Nascoste in un angolo del cassetto scorgi solo quelle degli SCOUT, ingiallite e appallottolate, il cui destino lo conosciamo bene, è meramente quello di tamponare un'eventuale perdita dal rubinetto.

Ti spremi le meningi per un pomeriggio intero… e poi, all’improvviso, un flash…poi ‘n’altro e ‘n’altro ancora. Cadi preda ad una raffica di epifanie, come se fossi appena uscito da una seduta durata un mese col tuo analista. Un vero slide-show di ricordi, ologrammi di facce , di cui a stento ti ricordi i nomi. Rivedi Emma che indossa la tua maglietta del torneo di Lacrosse mentre lava i piatti. Poi ripensi a Sarah quando, con movimenti “gimcaneschi”, si levava il reggiseno sotto la tua maglietta della NYU, e con sguardo allusivo ti diceva “mi piace perché è enorme”, e tu, rincoglionito come mai, ti ringalluzzivi tutto. Per non parlare di Roberta, la quale ha dormito a casa tua solo una notte ma che con notabile nonchalance si infilò dentro una maglietta del Prayer Tour '89 dei Cure, per poi portarsela la mattina dopo. E così via… innumerevoli volti. (NUNT’ALLAGGA’, il cantastorie dirà… nun c’avevi tutte ‘ste magliettine, te!)
Ti cominci a chiedere…. Ma è un vizio? Una peculiare forma di cleptomania? Un oscuro feticcio? Una delle tante cose femminili di cui non capisco la dinamica?
La risposta è BOH!
Forse le usano per fare vodoo. O forse le usano come trofei. O forse è una delle tante regole scritte in quel manuale segreto che viene passato da madre a figlia su come fare rincoglionire i maschi… fatto sta che tu adesso sei rimasto senza magliettine.

Anche se qualcuno non ci trova niente di drammatico, rimane sempre il fatto che ‘ste donne sono le stesse donne che riescono a comprare le più impensabili cazzate create in questo mondo … vestiti che non indosseranno mai, trucchi che servono a coprire cose che solo loro e alcune razze di cani riescono a vedere, scarpe che non possono mai mettere perché non vanno con nessuno dei 6,357.787 vestiti che hanno. Eppure quando si tratta di comprare indispensabili, comode, sincere t-shirts di cotone 100% vengono subito impossessate da una paralizzante imperizia nel fare spesa…“tanto una di queste la posso sempre fregare al prossimo che mi faccio”

Lo penseranno davvero? boh!

Mi rendo conto, comunque, che il problema di fondo rimane mio e solo mio. Primo perché, al momento, sono rimasto senza magliette. Secondo perché ormai, troppo adulto e troppo istruito dovrei riconoscere il momento quando le donne agiscono col solo scopo di turlupinare. Sono i momenti finali della storia, quando senza dirti niente le FENNIME (come dice mio nipote) si fanno l’inventario dei loro effetti personali e anche di quelli, non propriamente loro, ma che, non si sa mai, potrebbero far comodo in un futuro non remoto.
Sto parlando (molti di voi lo sanno benissimo) di quei momenti quando si avvicinano con un modo di fare inquietantemente tranquillo, chiedendoti informazioni su cose di cui tu ti eri dimenticato pure l’esistenza, come se si stessero preparando la valigia per un viaggio di tre anni in Kyrgyzstan; es.: “Ce l’hai tu il mio CD dei Cranberries?”
“Penso di si, sotterrato in qualche angolo della macchina, perché? Non lo ascolti da anni”
“Ho sentito una canzone oggi alla radio e mi andava di riascoltarlo”
“Alla radio? Scusa ma dove l’ascolti la radio, te?”
“Non fare il cretino e vammelo a prendere!”
Oppure: “Questi Levi’s non li usi mai, vero?”
“Non proprio, perché?”
“Niente, Gina dell’ufficio, oggi ne aveva un paio uguali e le stavano un amore”
“Scusa, ma tu e Gina non passate ore a telefono prima di uscire per assicurarvi che non vi siete vestite uguali?”
-Silenzio imbarazzante-

Comunque…per farla breve (tanto più o meno tutti avete una vaga idea di come va a finire), oggi volevo fare un appello. Se qualcuno di voi, in questo momento avesse una relazione con una ragazza che indossa una maglietta della fraternità dei ΛΧ della NYU, anno accademico 96-97. La rivoglio indietro… la maglietta cioè…la ragazza ve la potete tenere!

martedì 28 novembre 2006

Il processo evolutivo a livello psicofisico, morale, intellettuale del sottoscritto dopo essere caduto nelle mani del Pocciola

Sovente, capita che durante i discorsi nostalgici sulla formazione scolastica bianca rossa e verde, mi si lasci fuori con la convinzione che io le scuole le abbia fatte all’ESTERO.
“SI, minchione in Liechtenstein! Perchè quell’anno all’Edmondo De Amicis te lo facesti tu! Vero?”
Alla sola menzione dell’EDA, scende un gelido silenzio. Si, perché la Scuola Media Statale Edmondo De Amicis …non rappresentava con esattezza la quintessenza dei sentimenti che noi tutti riconosciamo come De Amicis-iani. La sezione M, in particolare, non era … tratta dal libro Cuore.

L’anno si aprì in bellezza. Luigi sgattaiolò verso i cartelloni appesi al muro, mentre le mamme si affrettavano a trovarci i posti nelle sovraffollate classi (che fossero lontani dalle finestre a causa della processionaria), poi corse verso di me e con sguardo terrorizzato mi disse: “ No! Abbiamo tutti e due i fratelli Barletta in classe con noi”
“tutti e due?” risposi sbalordito
“si”
Era un'ingiustizia. L’amministrazione avrebbe dovuto impedire che cose del genere accadessero a bambini come noi, che il pomeriggio guardavano gli snorkys. Cioè uno va bene, lo smilzo preferibilmente, dopotutto ha anche lui il diritto all’istruzione, ma tutti e due insieme è semplicemente crudele. Che li facessero roteare fra tutte le sezioni, un pò a turno, dopotutto pure gli altri avevano il dovere di provare l'ebbrezza dell'essere malmenati, perché solo noi.
Devo ammettere ci preoccupammo un po’ per niente, perché fortunatamente per noi, il padre dei Barletta aveva promesso ai figli che al compimento del sedicesimo anno sarebbero stati uomini liberi. Infatti, il compleanno del Barletta grande fu contraddistinto da un sospiro di sollievo collettivo. L’altro fratello, invece, fu colpito da leptospirosi o qualcos’altro e pure lui non tornò mai più. Anche se devo ammettere che di quest’ultimo sentì un po’ la mancanza dato che eravamo diventati quasi amici (sempre considerando i limiti delle circostanze) da quando Luigi si era prestato a disegnargli un puffo sul bicipite a mò di tatuaggio. Quel giorno ci aveva pure invitato giù alla discarica per sparare piombini sui ratti. Ma io e Luigi cordialmente declinammo l’invito.
Dopo l’abbandono dei Barletta, avevo anche appreso che noi della 1° M non stavamo mica messi così male. Claudio, un mio vicino di casa, era disperato perchè aveva in classe uno degli Sgroi, che si faceva le "zaganelle" in classe rilasciando “dediche” fra le pagine dei libri dei compagni (e se la memoria non m'inganna, fu lo stesso che si tagliò il “filino” in bagno operando con delle forbicine … se non sapete di cosa sto parlando, ringraziate Dio e andate avanti)
Ormai rilassati, tutti noi della classe 1° M potemmo interagire con tranquillità. Io e Luigi eravamo seduti nei banchi di dietro a Renzo (non mi ricordo il cognome) e Giovanni Di Giovanni (i miei complimenti ai genitori, per la loro sfavillante fantasia. Considerate, che nella stessa classe avevamo pure un Baldovino Baldovinetti…ma questa è pura crudeltà, che nemmeno i Barletta lo prendevano in giro tanto faceva pena). Renzo indossava sempre una camicia di polyester bianco con una fantasia di francobolli marroni dove dentro c’erano raffigurate le macchine antiche. Giovanni Di Giovanni, il suo compagno di banco, era invece famoso per le sue interrogazioni e le sue risposte alquanto didascaliche. Era l’unico che non aveva capito che in geografia, l’industria agro-alimentare e l’industria tessile si possono invocare per qualsiasi regione italiana, per non dire mondiale. Quindi alla domanda “parlami di Palermo” lui accusò: “A Palermo c’è la mafia!” Poi, durante lo stesso anno, alla domanda parlami dei problemi di Berlino, Giovanni Di Giovanni denunciò nuovamente la criminalità organizzata rispondendo:”A Berlino c’è un muro dove i ragazzi ci vanno a farsi la droga!”
Ma i giorni lieti non durarono a lungo. Volle il fato che io e Luigi, a causa di un autogol (tengo a precisare suo) durante la partita contro la 1° F, entrammo in un bisticcio del tipo “Croce di legno, Croce di ferro”; quelli di voi che lo conoscono sanno benissimo che è più facile trovarsi un altro amico che riuscire a rompere questo tipo di bisticcio. Proprio durante questa dissociazione, si unì alla classe un animale di ragazzo che era peggio di tutti e due i fratelli Barletta messi insieme. Un ragazzo di un'altra classe, che ne aveva sentito parlare, ci aveva avvertito: "quello è un tipo che se lo sfiori per sbaglio, TOCCA AMMAZZASSE!" Se avevamo alcun tipo di dubbio, questa premessa ci rassicurò, inducendoci ad accettare passivamente la malasorte.
Ora, non so quale spirito immondo abbia posseduto la Sambagnaro, professoressa di Matematica, a farle pensare che era cosa buona mettere uno che si allena sul ring a fare a pugni, proprio accanto ad un ragazzino, mezzo straniero, che con tutte le scarpe ortopediche pesava 13 kg. Così, all’arrivo della bestia, la Sambagnaro pronunciò la temuta frase: “Siediti li, accanto a von Hauser”
“Merda!”
Alessandro Pocciola, questo era il suo nome, aveva già la patente. Il padre gli aveva detto però che se non avesse ottenuto l’attestato non gli avrebbe comprato la macchina. Io gli avrei dato volentieri la macchina di mia madre per farlo andare, anche perché dopo il suo arrivo nessuno mi parlava più, sicuramente a causa di alcuni “simpatici” deterrenti, come per esempio le sberle ricevute da Renzo o Giovanni Di Giovanni appena si giravano a chiedermi qualcosa, o la mitica sputata sulle scarpe. Alessandro aveva la dote dello sputo con il mirino, una cosa allucinante; secco e diretto. Una volta Giovanni si dovette fare un’interrogazione muovendo in continuazione i piedi per evitare la mitragliata di sputi.
Devo ammettere che dopo un po’ cominciai ad apprezzare la decisione presa dalla Sambagnaro. Sotto quella facciata rude, Pocciola era, dopotutto, un bravo ragazzo. mi accorsi di essere invidiato un pò da tutti perchè mi aveva preso sotto la sua ala protettrice, anche se questo mi preoccupava un po’ perché non sapevo quando e come avrei dovuto ricambiare il favore. Sono sicuro che se sapesse che oggi faccio l’avvocato mi verrebbe a cercare per qualche problemino con la legge.
Ogni giorno appena arrivavo mi accoglieva con un “A’von HAUSER! C’ho mezza busta di fumo na machina … Vieni oggi pomeriggio alla centrale del latte abbandonata, che ci facciamo una canna! I flash che ti fa vedere 'sto fumo sono PAZZESCHI!” e poi l’immancabile medley dei fumaroli “Vado al massimo! Oh tofee tofee tofee!” con in mezzo "ne, neah, neoooow" il colpo di chitarra tratto da Dark Side of the moon . Altro invito che venne cordialmente rifiutato.
Inoltre Pocciola era completamente mesmerizzato dal mio cognome. Mi chiedeva sempre, ma perché la v è scritta minuscola, e perchè si pronuncia con la F, e che cosa significa il tuo cognome in INGLESE?
Un giorno, mosso dal suo interesse gli spiegai che in passato il mio cognome era scritto con la umlaut .
Mi guardò smarrito e mi chiese:”con che cosa?”
Arguii di aver fatto un grande minchiata ma ormai dovevo continuare:”con due puntini sopra la a”
Pocciola mi guardò e rispose:
“STI CAZ%I!”

lunedì 27 novembre 2006

La spietata dinamica del Twist

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Flavia entrò in bagno all’improvviso mentre io, appena uscito dalla doccia, ero d’avanti allo specchio a cantare “Se bruciasse la città” di Massimo Ranieri, a squarciagola e con tanto di batteria simulata con l’aiuto di un’Oral B Flexi-Soft EB 17 ed un Mentadent Stage 1, che costa meno.
“Ma che cazz@ stai facendo?” gridò Flavia
“Flavia, cazz@! M’hai fatto prendere un colpo!”
Flavia rideva. Poi in modo alquanto ammiccante mi disse: “Ma dimmi, canti sempre così bene, o è la nudità che ti fa raggiungere questi livelli di virtuosismo?”
Mi girai e le spiegai. “ Stavo facendo finta di cantare per Ilaria D’Amico”
Flavia sgranò gli occhi stupefatta e dalla bocca spalancata le uscì solo un "uh?"
"Si, tranne la parte che fa quel prato di periferia ti ha visto tante volte mia... quella la salto perchè...sai...non sarebbe realistico"
Sbalordita da quella risposta, Flavia chiese: “E questa spiegazione dovrebbe riscattarti, esattamente … come?" poi continuò con tono ironico "si in effetti a parte il prato di periferia poi tutto il resto, invece, è una vera cornucopia di realtà"
“Uhm … non so perché ho pensato che spiegandoti la verità avresti capito…ripensandoci adesso non c’è assolutamente un motivo valido.”
“tu non sei normale…vabè, comunque, lasciamo perdere le tue doti canore e la D’Amico per un secondo, volevo parlarti di noi.”
“Scusa?”
“Si, di noi, di quello che è successo ieri.”
“Il “noi” a cui tu ti stai riferendo, è paradossalmente meno concreto della potenziale presenza di Ilaria D’Amico dentro a questo cesso mentre io canto…quindi…adesso, scusami ma ho freddo!”
Chiusi la porta e dopo essermi vestito, presi il MIO Oral B Flexi-Soft EB 17 e me ne andai.

giovedì 23 novembre 2006

La scoperta del rimpianto

Lo aveva incontrato per caso. Doveva essere una passeggiata come tante altre, ma Sarah capì subito che sarebbe stata l’ultima occasione. Fra poco si sarebbero laureati; Lei in Filosofia, lui in Ingegneria.
Così, fissando le onde, animate da quel fine agosto, Sara trovò il coraggio di dire a Eddy:
“Perché non ci tuffiamo? l’acqua non è ancora fredda e noi non conosciamo ancora tutti i nostri difetti.”
Lui la guardò, e decise di non rispondere. Avrebbe voluto prolungare quel momento all’infinito, ora che lui era oggetto di desiderio. Ora che lui poteva dire di no.
Lei aspettò un po’, disegnò qualcosa con i piedi sulla sabbia, poi si voltò e se ne andò.
Fu così che Eddy scoprì che alcuni amori cominciano quando ormai tutto è finito.

mercoledì 22 novembre 2006

Periodo ipotetico della possibilità di empatia tra un gruppo di viaggiatori solipsisti

Sono in viaggio. Ancora. Lo so! Ormai mi sento a casa solo quando mi ritrovo dentro la cabina depressurizzata di un aereo di linea. Gli altri passeggeri mi danno ai nervi. Beh, sarebbe inutile spiegare il perchè...provate ad immaginare il vostro salotto invaso da 300+ persone con rispettive valigie, alcuni dei quali devono assolutamente sedersi accanto alla vetrinetta...Rendo l'idea?
ORRORE! sono seduto accanto la vecchia coppia belligerante. Li vedo da lontano, sono proprio loro, seduti nella mia stessa fila, proprio accanto a me. Da uno sguardo di sbieco rilevo le seguenti informazioni.
Lui: pullover polveroso, odore di naftallina, forfora, alito
Lei: rossetto fucsia, odore di campo di lillà con cadavere di vacca putrido nel mezzo, legge CHI, alito.
L'aereo si prepara al decollo mentre sto leggendo un passaggio particolarmente pesante di Anna Karenina (mi ero promesso di non leggerlo mai, ma mi hanno detto che questo Tolstoj scrive benino). L'hostess ci mostra le uscite di sicurezza, poi ci fa vedere delle maschere che dovrebbero apparire al momento dello schianto e che dovrebbero fornire ossigeno ai quasi morti passeggeri. Su queste maschere nutro non pochi dubbi. Ma l'ossigeno esce veramente da queste cose? O servono solo come sordina per le urla disperate di chi si sta andando a schiantare da 20,000 metri? Poi l'hostess delicatamente mi dice di rialzare lo schienale durante il decollo. "Scusi?" "Lo schienale" dice lei. Non me ne ero neanche accorto. Preme un pulsante alla mia destra e lo schienale si alza di 2 nanomillimetri.
Ora, non vorrei polemicizzare, ma nella mia vita ho creduto a molte cazzate, questa per qualche motivo non la reggo....Cioè, la mia sorte è in mano a quei 2 nanomillimetri? Quante persone sono morte perchè non avevano rialzato lo schienale? QUANTE? E' successo? non me l'hanno detto?
Eventi non degni di nota si susseguono. Lui deve andare in bagno, lei vuole la giacca, c'è freddo, c'è caldo. Poi Atterriamo e ritiriamo i bagagli.
Meno male che prima di partire avevo chiamato il mio amico Piero che doveva venire a prendermi. Il suo cellulare non prende. 3 ore dopo comincio a dubitare che Piero verrà. Mi avvicino alla piattaforma dove posteggiano i taxi. C'è già gente. Senza nemmeno accorgermene sono entrato a far parte di un gruppo. Alla mia destra c'è una donna, che continua a chiamare qualcuno che non risponde. E' nascosta dietro giganteschi occhiali da sole. Con gesti brevi e nervosi continua a digitare numeri e a riattaccare. Si lamenta sottovoce. Di fronte ho un vigile che sta urlando al cellulare, a quanto sembra, la sua ex-moglie che non gli fa vedere i bambini. Le chiude il telefono in faccia. Scorgo una lacrima. Richiama e impianta una negoziazione. Alla mia sinistra, invece, c'è un asiatico (cinese, giapponese, koreano...non lo so) totalmente spaesato, si guarda in giro. Alza delicatamente una mano, ma neanche il taxi si ferma. Sembra rassegnato a vivere la sua vita su questa piattaforma.
All'improvviso sento una vampata di empatia nei loro confronti, e vorrei che loro sentissero lo stesso per me. Si! ci siamo ritrovati finalmente! Mi sento molto vicino a loro, ma non come quando ti senti vicino a qualcuno perchè ascolta i Baustelle o perchè adora Samuel Beckett. Mi sento vicino a loro ad un livello ancora più intimo, perchè ovviamente noi tutti abbiamo provato sulla nostra pelle la viltà della vita. Vorrei abbracciarli e gridare anch'io: "io sono disoccupato, ho un colloquio domani che finirà a farsa come al solito, e l'altra settimana ho fatto cose sporche con una donna di dubbia reputazione e ora brucia quando cerco di orinare."
Ma proprio quando il livello di empatia raggiunge vette mai toccate prima d'ora, la donna scorge la macchina del marito, il vigile si riappacifica con la moglie, e l'asiatico viene raggiunto da due suore (anch'esse genericamente asiatiche)a bordo di un pulmino.
Non ci siamo nemmeno abbracciati. Eppure ci avevo creduto così tanto nelle nostre potenzialità.
Così...ancora una volta sono rimasto solo...
Ma allora, mi chiedo: "ma la vita... è beffarda solo con me?"
Gradirei risposte, suggerimenti, aneddoti...anche su quella storia del bruciore.
A titolo informativo: Piero non arrivò.

martedì 21 novembre 2006

L'inusuale correlazione tra la solitudine trascendentale, il crepuscolo, e la sfiga che ci perseguita.

Il crepuscolo, come promessa o come delusione? Qualsiasi modo sceglierà, non potrai chiederti mai: perché proprio me? Perchè il crepuscolo odia la mancanza di fiducia nei suoi confronti, ti chiede solo di aspettare, e dentro di te sai che la sua venuta non è solo leziosaggine. Così ti afferrerà con le mani del rapitore e quando ti avrà riposto dentro l’intercapedine che ha creato a tua misura, ti accarezzerà con il tocco della madre e sottovoce, in uno orecchio, ti prometterà esattamente quello in cui tu speri. Allora, le tue mani tremeranno, e salterai di gioia. Dimenticherai tutto l’andato e le paure scompariranno. E sarà come neve. Come neve e fama, come amici e nesquik. Ma la maggior parte di volte, notando la tua reazione, il crepuscolo sorriderà maliziosamente, e tu verrai a conoscenza della crudele premessa. Così il crepuscolo con unghie lunghe carpirà tutte le tue cose preferite e strizzerà il pugno lentamente fino a farle polverizzare. E non avrai niente più. E non saprai che cosa dire, perché gli hai dato i tuoi anni ed ora è la sola salvezza che conosci. Così con parole dolci ti convincerà che ha creato attorno a te la solitudine ma che in compenso non ti lascerà mai solo. E nella tua mente tu ripeterai :”Non rimarrò mai solo” fino a crederci. Ma alla fine quando avrai avuto un piccolo assaggio della neve e della fama, degli amici e del nesquik, capirai perché ha scelto proprio te.

domenica 19 novembre 2006

Gli Introvabili - Parte II

MODERATO

Guillaume si mise a sedere. Prese il piccolo cono di pece e lo strofinò con impeto contro il crine dell’archetto. Guardò l’orologio. Aveva ancora un paio di ore per provare. Cominciò con il Moderato. Era il movimento più sensibile di tutto il concerto, non presentava alcuna contaminazione di sorte, né artistica né sentimentale. Era totalmente priva di ornamenti e di inutili sovrastrutture musicali; La sua forma lineare, logica, caratterizzata da una leggera inclinazione al romanticismo, era come se anelasse tutti i sentimenti umani, senza patetici virtuosismi palesemente nascosti, e allo stesso tempo, senza mai diventare miseranda.
Fu durante il pizzicato che Guillaume si ricordò del sogno avuto la notte precedente. Il sogno che l’aveva fatto piangere. Songnò di correre sconvolto e disorientato in una fitta foresta. Ansimante e spinto da un’ angoscia infausta, si precipitava in un labirinto fatto di tronchi imbiancati dalla neve. Fino a quando arrivò in uno spiazzale, tutto coperto di neve. La totale assenza di colori fu all’istante pace e sollievo per i suoi sensi. Si buttò di peso sulle ginocchia, ed afferrò della neve con tutte e due le mani. Fissandola si accorse che ogni piccola particella di questa materia bianca emanava piccolissimi spettri prismatici. Contemporaneamente, si accorse di poter udire una musica da lontano; Adesso, Guillaume non ricordava di che pezzo si trattasse, ma si trattava di qualcosa dolce, una nenia, qualcosa come la Danza Slava in MI minore di Dvoràk. All’improvviso il suo torso venne spinto sulla neve e colpito ripetutamente, da qualcosa di estremamente soffice, come se centinaia di ali, facessero sali e scendi sul tutto il suo corpo. Guillaume non potè fare a meno di abbandonarsi ad esse. Il suo cuore fece un sobbalzo e sentì un flusso violento di sangue scendere nel basso ventre. In quel momento, si ricordò del quadro raffigurante l’estasi di Santa Caterina ed una lacrima cominciò a scorrere sul suo viso. Con il fiato corto, sentì un sapore dolciastro sulla lingua, mentre le mani spontaneamente si chiudevano e i piedi si inarcavano. Le lacrime si fecero sempre più veloci, fino a che Guillaume si ritrovò singhiozzante.

“Chissà perché Claudette abbia subito attribuito il mio pianto ad un brutto sogno!” sorrise Guillame. “Così tipico di Claudette!” Le sue mani continuavano a suonare, anche se il pensiero e la sua attenzione erano rivolte a tutt’altro. Continuò il suo monologo interiore. “Chissà cos’è, che la fa agire così?” “La paura di affrontare un discorso…forse?” “No!” “Ma si!...sicuramente” “Anzi a pensarci, non si è mai fatto un discorso, tra noi….con lei” “Beh, si! Si parla…ma non si discute” “Ci intratteniamo con varie forme di ciance” “Ma semmai una parola si velasse di serio…o se disgraziatamente, una conversazione richiedesse una minima partecipazione attiva da parte sua…la sua risposta sarebbe ‘sono sicura che non è qualcosa di cui preoccuparsi’… proprio come oggi! E ti pianta li, forzandoti subdolamente a pensare che il problema è il tuo.” “Che sia paura di compromettersi? di accollarsi delle responsabilità? Di impegnarsi?”
Guillaume si ricordò di un episodio, successo poco tempo prima, quando le fece ascoltare un pezzo tratto dal Pierrot Lunaire di Schoenberg. Di fronte al viso inorridito di Claudette, Guillaume rise ed in modo retorico le chiese se le era piaciuto. Claudette si limitò solo a dire: “beh, è qualcosa di nuovo!”. Guillaume la guardo quasi in shock, poi le spiegò “non mi offenderesti mica, se mi dicessi che non ti piace.” “Non posso dirlo!” fu la sua risposta. “In che senso, non puoi dirlo?” domandò Guillaume. “E’ qualcosa di nuovo, quindi non saprei proprio come giudicarlo”. Guillaume trovò la risposta curiosa, ma non volle mettere Claudette in imbarazzo, così lasciò perdere.
Ma in quel momento si rese conto che quell’incidente, per quanto al tempo fosse potuto sembrare irrilevante, chiudeva in se l’essenza di quello che in effetti era Claudette. Una donna senza referenze. Inabile nell’utilizzo del libero arbitrio di prescegliere.
Di fronte a questa considerazione, Guillaume si domandò se per caso anche la loro storia fosse solo una rassegnata conseguenza dipesa dalla mancanza di valide alternative. Se si trovavano insieme a causa di una pigrizia che li aveva arginati e imboccati sazi di abitudine.
“No!” sbrottò Guillaume. “Io devo essere visto, devo essere sentito e soprattutto devo essere scelto.” Sapeva esattamente quel che diceva; Guillaume odiava, infatti, le orde di giornalisti che si raggruppavano nelle prime file per scrivere in fretta e furia ciò che non comprendevano. Odiava gli amici degli spettatori che rimpiazzavano altri spettatori assenti o malati. Odiava chiunque non fosse li per scelta. Il suo odio, però, non era guidato da un senso di arroganza. Lui voleva essere soltanto compreso, scoperto, trovato.
Guardò l’orologio. Le prove generali sarebbero iniziate in un’ora. Accomodò il violoncello dentro la custodia e andò a chiamare un taxi. Una signorina lo avvertì che il taxi sarebbe arrivato alle 6:15 ma che comunque il tassista lo avrebbe chiamato al telefono quando stava per arrivare.
Pilotato da un giustificabile livello di nervosismo, e preoccupato dall’inaffidabilità dei tassisti, Guillaume afferrò il tight ed il violoncello e scese assai prima dell’orario prestabilito.
In quel preciso istante, Claudette pensò di chiamare Guillaume, sperando di trovarlo ancora a casa, per cercare di tranquillizzarlo, dato che il suo umore l’aveva un po’ preoccupata quella mattina.
Guillaume aveva già chiuso la porta alle spalle, quando sentì il telefono squillare. Si rincuorò e si affrettò per le scale. Ma quando arrivò in strada non vide nessun taxi.

***

sabato 18 novembre 2006

Gli Introvabili - Parte I

ALLEGRETTO

Dopo aver versato una piccola dose di caffè nel latte, Claudette passò la tazza a Guillaume e si affrettò ad imburrare due fette di pane tostato.
Guillaume alzò la testa da dietro il giornale, per assicurarsi che tutto era pronto. Poi ripiegò il giornale e lo posò.
“Sai” disse Guillaume, “stanotte…”
Claudette continuava ad imburrare mentre Guillaume parlava.
“Stanotte…penso di aver pianto nel sonno…”
Con lo sguardo ormai fisso sulla fetta imburrata Claudette disse:”Si? Non mi sono accorta di nulla”
“No, no…sono proprio sicuro, ho pianto nel sonno! Stanotte.”
Claudette lo guardò, come se non sapesse che fare di fronte a questa informazione, così un silenzio imbarazzante seguì l’affermazione di Guillaume. Poi Claudette abbassò gli occhi e con la mano scotolò le briciole che si erano posate sulla camicetta bianca indamidata. Ancora con lo sguardo intento a cercare briciole, gli disse:”Dai non ti preoccupare! Sarà stato solo un brutto sogno, succede, no?” Poi si alzò ed andò a rigovernare la cucina.
Guillaume rimase seduto in silenzio. Riprese il giornale e continuò a leggere. Nessuna notizia era stata riportata sul concerto che avrebbe dato quella sera.
Poi le chiese: “Verrai a vedermi stasera?”
“A che ora è il concerto?”
“Alle 8:30”
“Si, ho chiesto un permesso. Comunque dopo il lavoro dovrò ritornare a casa mia a cambiarmi quindi perderò un po’ di tempo, ma penso di farcela per le 8:30.”
Apparentemente rasserenato da questa notizia, Guillaume si alzò dal tavolo, buttò il giornale nel cestino, si tolse il pigiama e disse:”Vado a farmi una doccia”
Aprì l’acqua calda ed entrò nella doccia. Cominciò ad insaponarsi violentemente. Poi si fermò all’improvviso come per godersi i brividi che l’acqua calda gli procurava lungo la schiena, modesto piacere che venne improvvisamente interrotto dall’arrivo, nella stanza, di Claudette, che tutto ad un tratto gli chiese:”Mi sono dimenticata di nuovo cos’è che suonerai stasera?”
Con tono orgoglioso, Guillaume rispose: “Shostakovic, Dmitrij Shostakovic. Il concerto per Violoncello ed Orchestra N° 1 in MI Bemolle”
“Ah, si certo! Sho-sta-kovic”
Claudette si lavò i denti, mise a posto i capelli, poi velocemente fece pipì e lo salutò.

***

venerdì 17 novembre 2006

Il Venerdi di un'epigrammista scriteriato

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Quello che mi fotte non sono le virtù borghesi,
bensì le virtù corrotte dalla mistificazione borghese,
di cui io sono un degno adepto.
Quindi, stasera, mi vestirò, uscirò, berrò fino a star male ...
e pigramente sconterò, con modesti languori, la malattia dell'ideale perduto,
di cui io stesso sono causa...
perchè non rinuncerò mai alle mie Tod's!

giovedì 16 novembre 2006

Quando i sogni attaccano i nani






I sogni (tanto per capirci; quelli che aiutano a vivere) sono solo verità intuitive. Ne consegue il fatto che i sogni che si avverano, non sono altro che desideri dettati dalla probabilità, cioè dal grado in cui si ritiene che un evento possa accadere. Già da piccoli, impariamo a selezionare tra più sogni in base a determinate percentuali di probabilità di accadimento (Es. La piccola Elena, non ha mai sognato di ritrovarsi in una casetta con sette lettini. Sogna però che Babbo Natale le porti la Bambola Betty).
Potrebbe esistere però un margine di errore. Perchè se no non si spiega come Bruno Rovecci, venne invitato a prendere tea e panini con le fettine di cocomero tagliate sottilissime (a parer suo BUONISSIMI) a Buckingham Palace.
Quindi stasera, prima di mandarli a dormire, spiega ai tuoi figli che il trucco sta nel sognare che la tua vita possa rientrare in quel margine di errore.

mercoledì 15 novembre 2006

Il grave turbamento del sottoscritto quando si accorse che per lei, era stato solo ... Jean-Louis Trintignant



Non cercava mica soldi, lei. Quelli li avrebbe potuti trovare facilmente. Cercava il riparo, diceva, all'ombra di un uomo sicuro."Sei sicura di quel che fai?" le dissi.Si strinse il labbro inferiore fra i denti, guardò in basso, alzò le spalle e poi disse: "mah, non so".Aveva l'aria annoiata. "Forse è paura?" disse lei stringendomi la mano. "Non ho mai amato così" fece una breve pausa, guardò il cielo e si mise a ridere :"Forse non ho mai amato""Forse nessuno ha mai amato" dissi io. "E' un concetto così vago e soggettivo"Lei mi guardò, come se avesse deciso qualcosa e ora sapeva dove andare. Mi prese la mano e si mi mise a sedere sulle mie gambe.Indubbiamente non era la meglio, ma non era nemmeno la peggio. Nessuna sorpresa. Esattamente quello che mi aspettavo. Il che, era confortevole, come se, per la prima volta nella mia vita, mi trovavo al posto giusto al momento giusto.Inafferrabile, indecifrabile, ininfluente; troppe in- per una ragazza che assomigliava a Eva Kant. Eppure stavo li; e mi ero anch'io appropriato di qualche in- di troppo: inoccupato, inconsistente, inclemente.Odiavo quel senso di nullità che questa persona esercitava su di me, su lei stessa e sulla nostra storia. Come se tutto fosse inutile, ma come se, proprio a causa di questa inutilità, tutto fosse diventato indispensabile per farci capire che nulla è importante.Così per gioco molte volte la lasciai. Per vedere la sua reazione. Per capire se in fondo, un senso di smarrimento potesse convivere nel nulla. Oggi non so se fosse smarrimento, ma di sicuro qualcosa respirava nel nulla. Poi un giorno mi afferrò le mani, ed evitando di guardarmi negli occhi, cominciò a farmi girare, mi disse: "Facciamo quel gioco che fai tu, ma questa volta lo farò io, e questa volta farà un pò male." Io caddi a terra, e lei se ne andò.
La sua partenza fu illacrimata, ma il sentimento di non aver lasciato nessuna traccia fu insopportabile. Era così che il mio nome veniva cancellato, con un colpo di spugna, da quella lavagna nera e impolverata, e tutto ad un tratto capii che per lei io ero solo...
Jean-Louis Trintignant.

CORRIGENDUM



Allora, il mio amico Tony ci teneva a precisare che la pizzeria , non si trova sulla 32esima strada, come da me indicata, ma bensì sulla 43esima, tra la 5a e Madison. Mi scuso infinitamente con i lettori per aver creato ulteriore confusione mentale.
Sorge la domanda spontanea: Sarò mica entrato nella pizzeria sbagliata?
Tony mi assicura che sono entrato nella pizzeria giusta, dove la pizza in effetti fa schifo, e che Rob non ci capisce una mazza ne di pizze ne di musica dato che continua ad affermare che i Chicago sono la migliore band mai esistita.

martedì 14 novembre 2006

L'Esule figlio della Borghesia

Sottotitolo: Volevo fare il Redattore, il Cantante Anni 60, o il Magnaccio...



Invece mi sono laureato in Giurisprudenza! Ero confuso, lo giuro! ero giovane, disarmato, e con un incredibile sete di alcohol. Così un bel giorno mi ritrovai Avvocato (così per dire) ed alcolizzato. JACKPOT!!!!!
Mi dissi: "Volendo, posso anche smettere di bere..."
Ma smettere di fare l'avvocato era un'impresa ancor più ardua.
Tenete presente che io l'avvocato lo facevo a New York City e non a Pescia Romana. I salari delle multinazionali dove prestavo servizio non erano assolutamente quelli degli stagisti dello studio legale Bettola & Pinnicchi.
Che fare?
"Se ti lamenti ... ti alzano lo stipendio!" mi diceva il collega, Tony Bardotti (nome molto Statunitense) anche lui disperato. Era diventata una sorte di "Tratta dei consulenti legali" ...
Ma eravamo Consulenti o Prostitute?
Questo era ancora da definire!
Tony voleva lavorare il legno. Suo padre non voleva. Tony aveva 43 anni ed era albino, il che lo rendeva particolarmente visibile in un quartiere di prevalenza italiana e portoricana, quindi presumo che Tony le avesse prese, le botte, da tutti i bambini del quartiere, e forse anche da quelli che scendevano da Long Island nei week-ends. Aveva scolpito una statua della Madonna "so fucking big that the whole fucking neighborhood has to fucking see it!" e l'aveva piazzata in giardino (trad.: così fottutamente grande che tutto il fottuto quartiere doveva fottutamente vederla) . Tony veniva dal New Jersey (n.b. per questo credeva indispensabile intercalare un "fucking" ogni 2 parole, a volte anche 3) e sarà pure stato triviale e non sofisticato, ma cazzo, in tribunale era un aquila! Sapeva esattamente che dire e la giuria lo amava.
Io, in corte me la cavavo ... mi aiutava la retorica e di solito qualche signora della giuria finiva sempre in lacrime; e alla fine anch'io vincevo.
Dopo una giornata passata in tribunale, fra delinquenti, killers e prostitute ci ritrovavamo al Bar del Ritz Carlton di Battery Park, e mentre tutti gli altri avvocati parlavano (mentre sorseggiavano martinis e mordicchiavano olive) delle battaglie vinte, io e Tony tiravamo noccioline per aria, cercando invano di acchiapparle con la bocca, e parlavamo di come lui voleva lavorare il legno, e di come io avrei voluto essere un cantante anni 60.
Avevo pure un nome. Mi sarei chiamato Steve Clark e avrei inciso solo con la RCA. Avrei fatto Canzonissima e tutti i Cantagiro. E oggi ci sarebbero state le clips, rigorosamente in bianco e nero, mandate in onda sulla RAI ad orari assurdi, di me che facevo "altalenare" le mie spalle a destra e a sinistra come un povero menomato e cantavo "Bada Bambina", proprio come faceva Gianni Morandi o Sergio Endrigo.
A Tony la mia idea piaceva, ma ci sarebbe voluta una macchina del tempo. Idea che non gli dispiaceva affatto, anche perchè Tony aveva il sogno, non tanto segreto, di conoscere Franca Marzi ai tempi del suo splendore (perfavore, non mi chiedete di quanto tempo fa si tratta...non lo saprei. A dire il vero non so nemmeno chi è Franca Marzi, ma apparentemente Tony aveva trovato dei giornali di suo padre e da allora se ne era innamorato).
Dato che non si torna indietro ma si va solo avanti, un giorno mi chiesi quanto tempo ancora mi sarei dovuto ritrovare al Ritz Carlton a parlare di cazzate e a sparare noccioline. Così un mattino, andai dal "President" e consegnai le mie dimissioni. Poi mi andai a mangiare un pezzo di pizza sulla 32 strada, Rob diceva che era "BUONISSIMA" quindi volevo provarla prima di lasciare per sempre NY. Faceva schifo...ma d'altrocanto Rob non era stato mai fonte attendibile di verità assolute.
Oggi vivo in Italia.
Sono disoccupato e apparentemente IPERQUALIFICATO; ed ho solo 32 anni.
Non so se l'Italia mi apparteneva o se io appartenevo all'Italia. So solo che volevo ritornare.
E ora ... non so che fare!
Quindi oggi mi ritrovo a fare l'editore di me stesso...ENJOY IF YOU CAN!