domenica 19 novembre 2006

Gli Introvabili - Parte II

MODERATO

Guillaume si mise a sedere. Prese il piccolo cono di pece e lo strofinò con impeto contro il crine dell’archetto. Guardò l’orologio. Aveva ancora un paio di ore per provare. Cominciò con il Moderato. Era il movimento più sensibile di tutto il concerto, non presentava alcuna contaminazione di sorte, né artistica né sentimentale. Era totalmente priva di ornamenti e di inutili sovrastrutture musicali; La sua forma lineare, logica, caratterizzata da una leggera inclinazione al romanticismo, era come se anelasse tutti i sentimenti umani, senza patetici virtuosismi palesemente nascosti, e allo stesso tempo, senza mai diventare miseranda.
Fu durante il pizzicato che Guillaume si ricordò del sogno avuto la notte precedente. Il sogno che l’aveva fatto piangere. Songnò di correre sconvolto e disorientato in una fitta foresta. Ansimante e spinto da un’ angoscia infausta, si precipitava in un labirinto fatto di tronchi imbiancati dalla neve. Fino a quando arrivò in uno spiazzale, tutto coperto di neve. La totale assenza di colori fu all’istante pace e sollievo per i suoi sensi. Si buttò di peso sulle ginocchia, ed afferrò della neve con tutte e due le mani. Fissandola si accorse che ogni piccola particella di questa materia bianca emanava piccolissimi spettri prismatici. Contemporaneamente, si accorse di poter udire una musica da lontano; Adesso, Guillaume non ricordava di che pezzo si trattasse, ma si trattava di qualcosa dolce, una nenia, qualcosa come la Danza Slava in MI minore di Dvoràk. All’improvviso il suo torso venne spinto sulla neve e colpito ripetutamente, da qualcosa di estremamente soffice, come se centinaia di ali, facessero sali e scendi sul tutto il suo corpo. Guillaume non potè fare a meno di abbandonarsi ad esse. Il suo cuore fece un sobbalzo e sentì un flusso violento di sangue scendere nel basso ventre. In quel momento, si ricordò del quadro raffigurante l’estasi di Santa Caterina ed una lacrima cominciò a scorrere sul suo viso. Con il fiato corto, sentì un sapore dolciastro sulla lingua, mentre le mani spontaneamente si chiudevano e i piedi si inarcavano. Le lacrime si fecero sempre più veloci, fino a che Guillaume si ritrovò singhiozzante.

“Chissà perché Claudette abbia subito attribuito il mio pianto ad un brutto sogno!” sorrise Guillame. “Così tipico di Claudette!” Le sue mani continuavano a suonare, anche se il pensiero e la sua attenzione erano rivolte a tutt’altro. Continuò il suo monologo interiore. “Chissà cos’è, che la fa agire così?” “La paura di affrontare un discorso…forse?” “No!” “Ma si!...sicuramente” “Anzi a pensarci, non si è mai fatto un discorso, tra noi….con lei” “Beh, si! Si parla…ma non si discute” “Ci intratteniamo con varie forme di ciance” “Ma semmai una parola si velasse di serio…o se disgraziatamente, una conversazione richiedesse una minima partecipazione attiva da parte sua…la sua risposta sarebbe ‘sono sicura che non è qualcosa di cui preoccuparsi’… proprio come oggi! E ti pianta li, forzandoti subdolamente a pensare che il problema è il tuo.” “Che sia paura di compromettersi? di accollarsi delle responsabilità? Di impegnarsi?”
Guillaume si ricordò di un episodio, successo poco tempo prima, quando le fece ascoltare un pezzo tratto dal Pierrot Lunaire di Schoenberg. Di fronte al viso inorridito di Claudette, Guillaume rise ed in modo retorico le chiese se le era piaciuto. Claudette si limitò solo a dire: “beh, è qualcosa di nuovo!”. Guillaume la guardo quasi in shock, poi le spiegò “non mi offenderesti mica, se mi dicessi che non ti piace.” “Non posso dirlo!” fu la sua risposta. “In che senso, non puoi dirlo?” domandò Guillaume. “E’ qualcosa di nuovo, quindi non saprei proprio come giudicarlo”. Guillaume trovò la risposta curiosa, ma non volle mettere Claudette in imbarazzo, così lasciò perdere.
Ma in quel momento si rese conto che quell’incidente, per quanto al tempo fosse potuto sembrare irrilevante, chiudeva in se l’essenza di quello che in effetti era Claudette. Una donna senza referenze. Inabile nell’utilizzo del libero arbitrio di prescegliere.
Di fronte a questa considerazione, Guillaume si domandò se per caso anche la loro storia fosse solo una rassegnata conseguenza dipesa dalla mancanza di valide alternative. Se si trovavano insieme a causa di una pigrizia che li aveva arginati e imboccati sazi di abitudine.
“No!” sbrottò Guillaume. “Io devo essere visto, devo essere sentito e soprattutto devo essere scelto.” Sapeva esattamente quel che diceva; Guillaume odiava, infatti, le orde di giornalisti che si raggruppavano nelle prime file per scrivere in fretta e furia ciò che non comprendevano. Odiava gli amici degli spettatori che rimpiazzavano altri spettatori assenti o malati. Odiava chiunque non fosse li per scelta. Il suo odio, però, non era guidato da un senso di arroganza. Lui voleva essere soltanto compreso, scoperto, trovato.
Guardò l’orologio. Le prove generali sarebbero iniziate in un’ora. Accomodò il violoncello dentro la custodia e andò a chiamare un taxi. Una signorina lo avvertì che il taxi sarebbe arrivato alle 6:15 ma che comunque il tassista lo avrebbe chiamato al telefono quando stava per arrivare.
Pilotato da un giustificabile livello di nervosismo, e preoccupato dall’inaffidabilità dei tassisti, Guillaume afferrò il tight ed il violoncello e scese assai prima dell’orario prestabilito.
In quel preciso istante, Claudette pensò di chiamare Guillaume, sperando di trovarlo ancora a casa, per cercare di tranquillizzarlo, dato che il suo umore l’aveva un po’ preoccupata quella mattina.
Guillaume aveva già chiuso la porta alle spalle, quando sentì il telefono squillare. Si rincuorò e si affrettò per le scale. Ma quando arrivò in strada non vide nessun taxi.

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